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al testo di Pietro Menditto
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Quello che adesso ricordo mentre l’ombra di qualcuno incrocia, comprende la mia è che ricordando ricordo un ricordo qualunque incolume per la grazia dell’Uno. L’ombra in cui la nostra giace, si smarrisce e muore, pure è consolata dalla pace di un eguale dolore. Cerchiamo il memorabile dove questo non ha dimore, ma il bambino l’ha già trovato nella fanfaluca che stringe in mano nel sazio vuoto pomeridiano. Guarda: immota è talvolta la tua vita nella delizia dell’inconsapevolezza e ad alcuni pure talvolta quella prodiga l’eredità improvvisa di un giardino di memorie. E lì si aduna lenta la fola di quelle in un lacrimare sospeso di storie che invocano il giusto titolo il nome fresco che a stento leggi sul muro dell’anima intenerito. Quello che reclama il tempo non è un’ingiuria di peccato ma un perdono indifeso; che si intrecci una linea all’altra e insieme si perdano a un indefinito che s’abbeveri all’offerta plausibile della sorgente. La luce d’estate si libra una col vento adesso sull’acquiescenza di esausti, sbandati pianeti sulla distesa inebriante di quel negro mare; i nostri anni va intanto seducendo il silenzio del principio che ormai non può più parlare. (1977) |
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