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Lettera a mia madre

Lettera a mia madre

Gli ultimi due anni della sua vita li ho passati con lei nella sua casa, per assisterla nel suo percorso finale annunciato dalla malattia incurabile al pancreas. Son stati due anni tristissimi non solo perchè annunciavano una fine, ma perchè tra noi era scoppiata una guerra di rifiuti, piccole vendette, rancori, e sopratutto di silenzi. Cosi quando lei é morta abbiamo conservato una rabbia e un rancore l'uno verso l'altro. Non riuscivo a perdonarla della sua freddezza, della sua costante e umiliante sfiducia in me. Non riuscivo nemmeno a scrivere di lei, come bloccato dal risentimento. Ma questo era una spina nel fianco. Non riuscivo a perdonarla e non riuscivo a perdonarmi. Sono passati dodici anni, e non sono pochi, poi ho letto la bellissima lettera alla madre di Gelman e ho riportato alla mente quello straordinario canto che é il Kaddish di Ginsberg per la madre Naomi. Loro erano riusciti a superare ogni ostacolo affermando l'amore sopra ogni altra cosa. Allora guidato dal loro sentire ho iniziato a scrivere seguendo il loro esempio. Prendendo la forma interrogativa da Gelman e il ritmo del canto da Ginsberg e via via sono riuscito a scrivere questa lettera della quale non so il valore dal punto di vista poetico, ma che certo mi ha guarito da quel rancore sordo e muto.

Ed ecco qui il risultato di questo lavoro di riconciliazione, che mi fa andare verso la morte in modo sereno:

LETTERA A MIA MADRE

Strano ora a pensare a te in questo posto a noi cosi lontano
in un chiaro mezzogiorno di Maggio sveglio da tutta la notte,
a parlare parlare parlare con te. Ascoltare il ritmo del ritmo
nella mia testa. Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum
Bum Bum Bum Bum 12 anni dopo e leggere Gelman e
Ginsberg le loro strofe con la voce alta e rotta in pianto pianto
pianto pianto pianto e scoprire come la tua morte introduce
in me quel canto che tutti possiamo cantare e ricordare e
mutare in profezia per coloro che verranno.


Vivesti anche tu uno splendore? O fu profonda notte?
Ti eri persa nel sogno? O avevi gli occhi sciocchi?
Pensavi non ci fosse più nulla da vedere?
Con i tuoi quattordici anni e un seme dentro il ventre
pronto a germogliare?


Chi saro’ stato quando sono uscito da te?
Quanto mi avrai sofferto?
Ed é con questo carico di dolore
che mi portasti da lui?
come un ostaggio come una colpa ?


Non mi ricordo nulla del tuo latte
e com’era la mia bocca quando ti succhiai?
ti sciogliesti? o ero un semplice prurito?


E uscisti stremata da me/di me ?
oppure sfrontata dura e battagliera?
fosti davvero tenera o giocavi?


il tuo latte secco bagnava la mia anima
forse un’ arida bellezza senza luce
mi pervase?



Ma in sogno tu viaggiavi verso la chiave dentro la finestra
la grande chiave che depone le uova della luce e
quel vasto raggio là sul pavimento annunciava
il teatro dell’abbandono e della povertà.
Conoscesti lo splendore del giorno? O andasti subito
verso il fiume dell’amore? E avevi fame dopo? E di che cosa?



C’è Madre
che non arrivavo a fissare i tuoi volti in un volto
cosi mi morivi ogni giorno varcando le soglie
deli’ invisibile. Che cosa cerchi ancora
nella mia anima? E io che cosa cerco?


Mi abbandonavi per cercare te
poi ritornavi.
Io presi ad amare le ferite.
Tu cercavi un futuro?
Io pensavo di averlo?


E questo non saperti questo non averti mai saputo
Come hai vissuto la tua vita senza cielo?
con quel tuo sguardo chino sopra il tuo ventre?




Queste visite che ci facciamo tu la morte e io
da un luogo li vicino da abitare sono forse
l’istante in cui l’infanzia posa un dito sopra il tempo?
E tu lo sai che ora girando l’angolo mi imbatto
in me da morto che faccio l’esperienza
del tuo falso candore tutto sorpreso?
L’orrore allora è una musica estrema?
Tu lo sai che da allora la verità è vuota?
O hai la prepotenza di affermare che
risiede nel tuo ventre? E allora. Io?



nascondesti dentro di te l’idea di me?
partoristi la carne ma tenesti il mistero?
perchè mi trattavi come uno sconosciuto?
e mi mettevi una moneta nella mano?
e mi chiamavi Luciano?


Chi crede che io sia ? mi domandavo.

A volte all'improvviso cercavi di baciarmi sulla bocca.
E io spingendoti via mi chiedevo chi ero.
Cosa vedevi quando mi guardavi?
Così fu il dubbio che prese il sopravvento.

Chi ero io se persino mia madre non mi riconosceva?


ci legava un rimprovero profondo
una colpa sconosciuta e tramandata
cos’altro ancora mi volesti fare?
che andasse oltre il concepirmi?



potevo io prolungare la tua bellezza
senza trasformarla in corpo di dolore?

restituirti una dolcezza possibile piena
di meraviglie e di stupori malcelati?

tu muori e io sono gravido di te?
perché t’apri e ti rinserri?
Acqua e sangue ancora?
per quanto tempo ho seguito i tuoi passi
lungo il putrido canale del Navile?
quell’odore acre di latrina era anche
la tua aria? .Respiravo
l’odore rancido della miseria
da cui tu fuggivi.
credevo fossero luoghi
della mia memoria
e invece entravo nella tua


ci siamo uccisi entrambi
in un duello a fuoco lento?
o fu per troppo amore?


fui una cosa che non hai mai capito? Diverso da tutto cio’ che conoscevi?
un bambino troppo mite e troppo buono? forse un po’ inadatto e strano?
che non si sapeva se era tutto maschio? benché non fosse certo femmina?
che cosa allora? un grumo di colpa? impresentabile? Con le sue domande?
non stavo nè in cielo né in terra? e dove stavo allora? te lo sei mai chiesto?
perché allora mi amasti senza alcuna pietà di una feroce tenerezza ?


O madre segreta.
O madre silenziosa e attenta. O madre ruvida
e tagliente come una polvere di vetro.
Sai che resistere al dolore è una forma di vita
assai distratta?


e tu Vecchia Penelope con dita rattrapite di memoria
sfinita non d’attesa, ma da un inseguimento di pensiero
intorno al mondo.
Vivesti l’amore per me come una forma di condanna.?


Sei tu sei sempre tu -dicevi-
Tre parole acuminate dentro il sangue
No mamma. Non sono io. Non sono mai stato io
- ti rispondevo-




Siamo giunti alla vecchiaia io e te colmi di cicatrici
dentro e fuori il corpo . Quelle orrende suture
come cerniere lampo lungo il tuo ventre
lungo il mio petto lungo le mie e le tue gambe.
Eravamo un unico corpo?
Una sola malattia incurabile?
L’amore?


E’ spietato il mio male mi dicevi senza mai guardarmi
con gli occhi rivolti verso il muro. E’un leone con la feroce
fame di capelli e denti che mangia l'anima e il sangue.


Tutta la vita con le punture nella pancia,
con il furto di tutte le cose belle nella pancia
addio addio al suo pallido calore dentro te.



Sei vecchio ormai - mi dicevi - quindi resta qui con me - Resta
Ma io tornavo sempre con un nuovo amore e tu non capivi
come per te la vita fosse cosi spenta e la mia vecchia brace
invece sempre pronta a un nuovo fuoco.


ti porto via il cancro?
o ancora una volta l’amore insopportabile di me?
Ti ha ucciso il mio ritorno? Il conflitto rancido che apriva?


hai deciso di andare ?
hai scelto anche l’ora e forse anche il secondo?



e adesso che sempre di più divengo te mi accorgo
che non sono senza te bensi di te
e tutta questa mancanza di baci e di una qualche
tenerezza delle mani non fu una misteriosa crudeltà?





Non più dolore non più gioia
adesso non avere nemmeno più paura
dei fallimenti dei debiti e degli amori
dei letti fecondati dalla fame
eppure sei sta qui
come un albero come una pianta un fiore
un fiore amaro come una radice
una scorza dura e amarostica
a unire la madre e la bambina
sotto il segno della luna.
Ostinata a vivere una piccola vita


Riposa non più sofferenza per te
so dove sei andata

e dimmi l’hai l’hai ritrovato lui? Il tuo ragazzo?
come ancora lo chiamavi a settant’anni?
Gli hai parlato? gli hai fatto vedere il vecchio che sono diventato?
E Giancarlo il tuo marito è li con te? Si prende ancora cura di te?
Mangiate insieme? Ci sono le osterie? C’é il vino?
Siete ancora comunisti o puro spirito?


E avete un posto o siete dappertutto? Non so
Andate al mare? O state meglio su in montagna?
Ci sono ancora le distanze? Sei stata in Tibet?

E dimmi tornerai? Ti infilerai in qualche corpo di soppiatto?
Oppure c’è una data di scadenza ?
E poi via di nuovo essere carne?

Oppure siete all’altro mondo?
Cioè in un mondo accanto parallelo?
Mi vedi? Ci vedete? Ci sentite?
oppure, come noi ci immaginate?


Ti ricordi quando ti dicevo ridendo
da morti si diventa cio’ che più abbiamo desiderato
Tu sarai’ una bistecca tritata con gli aromi
E io una scodella di passatelli in brodo
Ti ricordi?



Ti lascio qui dove sono cresciuti all’improvviso i tulipani.
Ti seguivo calcando le tue orme perche volevo vedere
il volto doppio del tuo amore. Questo tuo fare ancora
senza chiedermi permesso o avvisare.
Ormai
Non ci perdoniamo più.


come potro' essere libero da te
senza di te?

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 Marco Armando Ribani - 23/06/2017 10:01:00 [ leggi altri commenti di Marco Armando Ribani » ]

Vi ringrazio tutti dal profondo del cuore, le vostre parole mi confortano e fanno di voi dei compagni di viaggio perchè mostrate di aver compreso attraverso le vostre emozioni l’importanza che ha avuto per me scrivere questo testo. Sono uscito da questa esperienza diverso e più sereno ed era quello che cercavo. Il debito verso Ginsberg e sopratutto Gelman è molto importante, ma senza di loro non sarei mai stato capace di scrivere questa poesia/terapeutica per me. Mi sono fidato di loro perchè avevano già compiuto il viaggio, cosi l’incipit è chiaramente una rielaborazione del folgorante inizio del Kaddish di Ginsberg e poi le prime quattro strofe sono prese quasi interamente dalla lettera alla madre di Gelman. Non ho voluto rubare versi per rendere più bella la mia poesia, solo erano necessarie "quelle" parole
per rientrare nel corpo di mia madre senza più rabbia e senza più rancore. Poi via via la scrittura è divantata autonoma, pur apprendedo per strada il valore e l’incisività della forma interrogativaun interesse che già avevo praticato leggendo E.Jabés.
E’ con vera commozione che ancora vi ringrazio.

 Cristina Bizzarri - 22/06/2017 18:43:00 [ leggi altri commenti di Cristina Bizzarri » ]

Nella poesia non c’è il tempo. Questa, anche se tu hai settantaquattro anni, può essere stata scritta da un ragazzo. Prima di leggerti mi è venuto istintivo di pensare a Ginsberg (non conosco Gelman, vado a cercare su Internet!). Cioè, "prima di leggerti" perché l’ho letta dalla fine - non so perché - percorrendo a ritroso un cammino intensissimo, soprattutto interiore. Trovo la tua scrittura molto ma molto bella, e questo testo mi ha fatto provare il desiderio di averlo scritto io, se mai ne fossi stata capace. Molti sentimenti e emozioni evocati li ho provati anch’io con grande dolore e intensità.

 Ferdinando Giordano - 22/06/2017 13:42:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Giordano » ]

Ho trovato nelle tue stanze oro e briciole di pane. Il primo da bagliori intimi, più profondi delle stesse vene che lo ricoverano; le seconde da un pasto consumato a lungo con un morso audace che alla fine calma, forse non sazia. Grazie.

 Klara Rubino - 22/06/2017 11:38:00 [ leggi altri commenti di Klara Rubino » ]

Quando l’ho letta ieri sera mi sono accorta che una lacrima scendeva sul viso...ecco quel bruciore sugl’0cchi cos’ era e perché!
È intensa, come in un romanzo il personaggio vive!

 Nando - 21/06/2017 20:12:00 [ leggi altri commenti di Nando » ]

Di là del valore poetico del testo, che non so giudicare, rimane la bellezza dell’autenticità di una consegna autobiografica al lettore, che ne resta coinvolto e poeticamente affascinato.

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