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Collana di eBook a cura di Giuliano Brenna e Roberto Maggiani

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eBook n. 90 :: Proust e le Cattedrali, di Gennaro Oliviero
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Di Gennaro Oliviero
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Data di pubblicazione:
27/10/2011 12:00:00


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# 31 commenti a questo e-book [ scrivi il tuo commento ]

 Peter Houle - 12/06/2013 15:23:00 [ leggi altri commenti di Peter Houle » ]

I read Gennaro Oliviero’s essay Proust e le cattedrali with interest and admiration. We have here the best kind of literary criticism: one that helps us better understand Proust’s literary output and, at the same time, invites us to make comparisons and contrasts within other literary and artistic contexts. By adding a discussion of the contemporary art of Lavinio Sceral depicting cathedrals, Gennaro Oliviero reinforces the important point that works of art often live in other, later works, and that one of the most interesting and rewarding endeavors for us the readers, viewers, and listeners is to compare and contrast the works of art that most appeal to us. Making connections and relationships between works of art -- itself a form of recreating -- is both useful and enjoyable, more so, I think, when the activity spans different artistic genres. This is what Gennaro Oliviero’s approach invites us to do. The comparative process itself is its own reward. Though it may not reveal anything original -- and publishable -- like direct sourcing and influence, establishing literary and artistic relationships certainly broadens our understanding and, more importantly, adds to our enjoyment of individual works. For example, when he planned and painted "Le vetrate della cattedrale," Lavinio Sceral may or may not have known Ottorino Respighi’s "Vetrate di Chiesa," a suite of four pieces for orchestra from 1926 each depicting a different stained glass window. It doesn’t matter. The two works now exist apart from their creators. Listening to Respighi’s neo-gothic tonal poems in the context of Sceral’s equally neo-gothic paintings evokes new ideas about each work, thus adding to our enjoyment. We can also relate Sceral’s cathedrals to Debussy’s prelude for piano "La cathédrale engloutie." Here, however, the artist and the composer clearly share a discernibly similar approach and methodology. Recognizing this, we enhance our enjoyment and appreciation of each work. T.S. Eliot reminds us in "Tradition and the Individual Talent" that works of art do not take place in a vacuum. This is a viewpoint which Gennaro Oliviero clearly shares.

 Valerio Corvino - 20/02/2013 12:35:00 [ leggi altri commenti di Valerio Corvino » ]

Ho letto questo saggio in un periodo di degenza particolarmente noioso, ed è arrivato come una ventata d’aria fresca dopo mesi di calura estiva.
Gennaro Oliviero mi ha dato uno spunto di riflessione sull’opera proustiana, sul ruolo di Ruskin, di Swann e su quello delle cattedrali.
Le dimensioni esoterica ed essoterica si confondo, anzi, si connettono, in Proust; mi pare che non ci sia distinzione tra i pochi viaggi che egli compie realmente - sempre affaticato a causa della sua salute -, quelli che fa attraverso le opere di Ruskin e quelli compiuti dalla sua immaginazione. La lettura di Ruskin rivela a Proust la parte del mondo che egli non conosce, lo connette con un’altra realtà. In particolar modo gli fa scoprire le cattedrali, che Ruskin dipinge con particolare intensità anche grazie al suo stile neo-gotico. Medesimo ruolo è quello di Swann, figura di spicco all’interno della Recherche, che lo incuriosisce circa i misteri e i segreti delle cattedrali, questa volta immaginarie, quali Saint Hilaire di Combray e Saint-André-des-Champs.
Tutti questi suoi viaggi allora, mi sembrano essere sforzi di completamento di se stesso, di connessione con la realtà, attraverso lo studio di punti di vista figli di tempi e luoghi diversi, che divengono solidi, come prodotti di un processo stocastico che li ha preceduti, in quelle sacre costruzioni di pietra che sono le cattedrali.
Le cattedrali si ergono allora a simboli dell’alterità, di una visione del mondo altra, visione che va protetta e di cui Proust teme la morte (come espresso dalla citazione dell’Album Proust, Mondadori, contenuta nel saggio), perché la connessione con questo “altro” completa lo scrittore francese, e questa connessione tra Proust e l’altro in senso ampio, non è che la sua monumentale Recherche.

 Gennaro Oliviero - 08/01/2013 19:58:00 [ leggi altri commenti di Gennaro Oliviero » ]

Credo di fare cosa gradita ai(tanti) lettori di questo ebook fornendo qualche informazione sulle prime recenti iniziative di celebrazione del centenario del primo volume della "Recherche","Dalla parte di Swann",pubblicato il 14 novembre 1913.
La rivista "Philosophie Magazine",(Francia) presenta un numero interamente dedicato a Proust(hors-série n°16 /janvier-février 2013):" A la Recherche du temps perdu:les plus grandes pages commentées par les philosophes".
Alla Morgan Library di New York vi sarà l’esposizione "Marcel Proust and Swann’s Way",dal 15 febbraio al 28 aprile, con manoscritti,cimeli,proiezioni filmiche,conferenze,ecc.
La rivista "Europe"(revue littéraire mensuelle)pubblicherà nei prossimi mesi un numero monografico su Proust,realizzato su progetto dell’ "Associazione Amici di Marcel Proust";il precedente (ed unico)numero di "Europe" dedicato a Proust risale al lontano 1970/71, in occasione del centenario della nascita(10 luglio 1871).
A fine gennaio del 2013 sarà in libreria il numero annuale di "Quaderni proustiani",in italiano e in francese,con articoli riguardanti il "centenario del Swann"(un volume di 360 pagine che potrà essere richiesto anche telefonicamente,ai numeri 081-5499250 o 3386255810).Il comitato di redazione della rivista è costituito da otto studiosi di fama internazionale.

 Antonella Pacchiarotti - 03/11/2012 17:34:00 [ leggi altri commenti di Antonella Pacchiarotti » ]

Mi è capitato di leggere questo saggio in un periodo particolarmente opportuno: ero reduce da un giro nei Castelli della Loira in cui ero passata davanti al cartello che indicava Illiers, la Cobray di Marcel Proust, ed ho letto, per l’ ennesima volta, la "Recherche".
Nello scritto ho trovato alcune cose che già conoscevo, e molte che non conoscevo.
Non posso confrontarmi con la competenza dell’ autore, ma, da brava insegnante di Matematica quale sono, farò uno schema di pochi dei molti concetti che mi hanno maggiormente colpito, con alcuni dei quali mi trovo in accordo, meno con altri.
Innanzi tutto è ancora drammaticamente attuale l’ incuria, lamentata da Proust, per il patrimonio artistico e culturale italiano, anche se, forse, definire per questo l’ Italia un paese "inestetico", è forse un po’ forte....
Non sapevo, e mi ha indignato, che in una delle prime traduzioni in Inglese, il Tempo della Recherche si definisse "sprecato"; ma come, la gioventù di Marcel, tempo nel quale, atteggiandosi a mondano (il "tempo della camelia", come riferisce Celeste Albaret) osservava profondamente tutto quanto lo circandava è stato il periodo più fecondo della sua vita! Ho pensato che il traduttore, pur avendo dovuto leggere l’ opera nei dettagli, non ne avesse afferrato il senso, si sarà trattato di un inglese snob, come ce ne sono parecchi. Mi ha consolato il rapido cambiare della traduzione.
Pensare che diversi tra coloro che incontrarono il giovane Marcel lo hanno considerato con degnazione... tra questi ricordo con un certo dispiacere la descrizione, tra sprezzante e disgustosa, fatta da Jeanne de Caillavet in una lettera ad una amica. Riferiva che il giovane (sempre molto compito e un tantino ossequioso) si prostrava ai piedi della madre e si avviticchiava alle ginocchia della figlia (cito a memoria): avesse immaginato, la signorina, cosa sarebbe diventato il giovane da lei dileggiato!
Il saggio mi ha ricordato un’ abitudine di Proust che ho in comune con lui: quella di ricercare nelle opere d’ arte, e soprattutto nei quadri, la somiglianza con persone conosciute. Certo io non ho una sguattera che assomigli alla Carità di Giotto, nè un’ amica che abbia l’ aria buona della Sefora....
Alcuni concetti espressi dall’ autore del saggio mi trovano in totale adesione; ho sempre pensato, infatti, che Agostinelli, iscrivendosi alla scuola di volo con il nome di Marcel Swann, mostrasse gratitudine e un certo affetto per l’ uomo, dal quale aveva ricevuto molto, e che lo aveva tanto amato, anche se una tantino oppresso.
Come anche ho sempre pensato alla Recherche come ad un grande affresco, come se Proust, che tra le varie arti, forse, prediligeva la pittura, non sapendo dipingere con tela e pennelli, lo avesse fatto con le parole.

 Gabriella Galbiati - 27/01/2012 12:13:00 [ leggi altri commenti di Gabriella Galbiati » ]

Se penso ad una Cattedrale, mi viene in mente una costruzione solida, ben definita, edificata perfettamente in ogni singola parte. Ciascuna ha una propria funzione precisa e va a formare un corpo unico, istituzionale. Ma una Cattedrale non è solo una mera costruzione architettonica. È bellezza e armonia.
La Cattedrale è come il Tempo, unita e divisa insieme. Così come il tempo è continuo e discreto, come afferma Guglielmo d’Ockham, filosofo medievale come medievali erano le Cattedrali che affascinavano Proust.
Ockham riesce a trovare un congiungimento tra queste due diverse definizioni, senza protendere né per l’una né per l’altra visione perché è convinto che il tempo sia tanto continuo quanto discreto. Come per tutte le sue analisi, anche in questo caso Aristotele e Averroè rappresentano i punti di partenza dell’indagine ockhamiana.
Come si è detto prima, nella cinquantaduesima questione Ockham pone il problema se tempus sit continuum,oppure il contrario. All’inizio il logico esprime dei dubbi sul fatto che questa proposizione sia vera, perché: ex non entibus non fit aliquo continuum; sed partes temporis sunt non entia.
Infatti, è difficile pensare al tempo come continuo in quanto è formato da momenti, istanti, ognuno dei quali è diverso dagli altri e lo si concepisce per questo come separato. Il Filosofo, tra l’altro, è convinto di ciò. Se si vuole affermare che i tempo è continuo, bisogna prima cercare una continuazione nel movimento, anche in questo caso vi è una correlazione tra i due concetti e il filosofo francescano spiega che: motus est continuus ex eo quod mobile est continue sine quiete media, in alio et alio loco, nec est in aliquo uno praecise loco, ed è per questo che: tempus est continuum.
In questo caso, Ockham si trova d’accordo con il Commentatore, il quale è persuaso che il tempo sia continuo perché esso segue la traslazione, il cambiamento del moto che avviene, appunto, in maniera unica e perpetua e riguarda un’unica cosa esistente in un dato momento e non in un altro. Ciò, secondo il logico medievale, è possibile perché il movimento stesso e il tempo sono perpetui ed unici. Anche secondo Aristotele, dato che il moto è continuo, il tempo che è sua misura deve essere continuo, in quanto vi deve essere una corrispondenza tra ogni punto della traiettoria e un momento del tempo. Lo Stagirita aggiunge che il tempo è continuo attraverso ‘l’ora‘, il momento presente che in sé congiunge passato e futuro in quanto è composto dalla fine del passato e l’inizio del futuro. Nella cinquantatreesima questione, invece, sostiene la tesi secondo cui: tempus sit discretum,come si è detto prima, opposta alla precedente. Il tempo appare discreto perché è costituito da un numero di istanti e, come si sa, il numero rappresenta un’infinità discreta. Ma sorge ora un problema perché è impossibile che esso sia entrambe le cose. Ockham, per questo, si rivolge di nuovo ad Averroè, il quale esplicita che: tempus est quodam modo continuum et quodam modo discretum.
Quindi è come se il tempo avesse due facce diverse ma al tempo stesso unite tra di loro. Infatti, come espone l’autore medievale, le due dimensioni non vanno intese come due realtà distinte e separate né bisogna pensare che il tempo racchiuda in sé due concetti distinti. Il Commentatore arabo, in realtà, pensa semplicemente a due nomi, uno che implica la continuità ed è il movimento, ed uno che implica la discontinuità, ossia il numero. Ma entrambi i nomi fanno parte nello stesso identico modo del tempo e lo caratterizzano. Il nome ‘numero‘ costituisce la sua parte formale e il nome ‘movimento‘ la parte materiale. Ockham, a proposito, riprende un passo dal commento 109 di Averroè alla Physica: tempus non fit nisi quando mens dividit motum in prius et posterius: et haec est intentio numeri motus, idest motum esse numeratum; igitur substantia temporis, quae est in eo quasi forma, est numerus, et quod est in eo quasi materia est motus continuus.
Quindi, il tempo, in quanto tale, è ciò che numera, calcola il movimento ed per questo è composto da entrambi insieme ed è questo che lo fa esistere. Questa, se vogliamo, rappresenta una nuova definizione di tempo in cui vengono posti due termini: quorum unus, scilicet motus, significat aliquid esse continuum et alius, scilicet numerus, significat aliquid esse discretum.

 Antonio Piscitelli - 22/12/2011 19:42:00 [ leggi altri commenti di Antonio Piscitelli » ]

L’idea di incompiutezza di un’opera letteraria, quella della quale si dice nella fase conclusiva, più che altro un’appendice, nel bel saggio di Gennaro Oliviero, è insita nella produzione letteraria medesima. Soprattutto se sfida l’usura del tempo, come nel caso della Recherche. Ogni grande opera è incompiuta, nel senso che essa trova il suo naturale compimento nel lettore che ne fruisce e gode, ma anche nello studioso e nel critico, persino nel detrattore. In questo consiste la vita e la vitalità di un prodotto d’arte. Sicché nell’individuare il rapporto tra le cattedrali gotiche “lette” da Proust e la struttura portante della Recherche in realtà si fa riferimento proprio all’impressione di incompiutezza che entrambi i monumenti evocano. La fabbrica di un’antica cattedrale aveva spesso tempi esorbitanti l’ordinaria durata di una vita umana, in alcuni casi questi luoghi di culto non sono mai giunti a compimento o hanno raggiunto un completamento instabile, si direbbe in fieri. Persino la manutenzione e il restauro, sia pur proustianamente conservativo, secondo la lezione di Ruskin, rinviano al work in progress.
E di quest’ultimo, spesso menzionato da Gennaro Oliviero, occorre ricordare l’esaltazione del lavoro artigianale profuso nella produzione dei “libri di pietra”, a fronte e in opposizione al modo di produzione capitalistico. Il piccolo artigiano che scolpisce la pietra e ne cava il personaggio biblico della storia che va facendosi, cioè va divenendo racconto, anche grazie alla sua paziente e, direi, lenta opera di scalpello richiama la paziente opera del Proust scrittore, ma anche, mi si consenta l’azzardo, l’azione sia conservativa che esegetica dei suoi restauratori e interpreti. In tal senso, mi pare di capire, la Recherche è davvero in progress, cioè non finisce fino a che feconderà l’animo e l’ingegno di lettori e critici. Forse Proust voleva questo, che noi continuassimo, leggendola, a scrivere il suo capolavoro. È così che Gennaro Oliviero intende la lettura e la rilettura dell’opera, rimarcando la circostanza che l’inizio e la fine si toccano e si integrano. Ma il circolo è così ampio che finisce col coincidere con l’equatore galattico. Si misura in anni luce. Non ne possiamo percorrere che una parte infinitesimale. Quella che percorre Oliviero è un puntino ben luminoso nella galassia proustiana.

 laura forte - 22/11/2011 21:43:00 [ leggi altri commenti di laura forte » ]

le osservazioni fatte da Viviana Huafi sono pienamente condivisibili specie nel momento in cui si rivolge al professore Oliviero ed afferma che la sua a Proust è una critica militante per di piu inserita in un contesto pieno di contrasti, di luci e di ombre come quello napoletano e non una critica ammuffita e stereotipata. Io, da questo punto di vista, vorrei aggiungere che in realtà l’approccio a Proust poteva scivolare in una pura esercitazione accademica ma non è questo per fortuna il caso, in quanto soprattutto il nostro Oliviero è riuscito a coinvolgere nell’amore per il grande scrittore tutta una comunità di persone che lo seguono nella sua associazione e che simbolicamente lo hanno eletto a loro intercessore e mediatore per districare e sbrogliare la matassa letteraria ed umana della recherche. Per comprendere la quale occorre una sorta di traduttore ma non perchè la cifra dell’autore sia incomprensibile ma perchè in ogni pagina la carica emotiva e razionale del nostro è così intensa da richiedere una sorta di divulgazione continua, quasi un processo inverso che sciolga tutte le inestricabili sfaccettature della poetica e della prosa proustiana, sicuramente fra le pagine più costruite che siano mai state scritte. In questo senso trovo una sua vicinanza simbolica all’architettura delle cattedrali, perchè come esse rappresentano la realizzazione di un contenitore perfetto per racchiudere uno spazio fisico che diventa mistico e spirituale, così la recherche è una grande simbolica impalcatura nella quale ogni parola ogni fatto ogni racconto rappresenta una pietra per costruire un grande insieme un grande edificio nel quale è racchiuso lo spazio e il tempo dell’anima proustiana ( ma non solo la sua ma anche infine di quelli che lo amano)

 viviana agostini-ouafi - 22/11/2011 18:54:00 [ leggi altri commenti di viviana agostini-ouafi » ]

Gennaro Oliviero, tra Proust e i gatti

La critica proustiana di Gennaro Oliviero non è critica accademica ma militante. Il che vuol dire che per lui l’opera di Proust non è l’espressione di uno scrittore morto e inattuale, ma un’opera che vive e palpita nei cuori di coloro che ne sanno ascoltare, attraverso lo scritto, la voce umanissima e suadente. Il testo di Proust non è un pezzo asettico e freddo da museo ma un messaggio emozionante, istruttivo e fecondo: le emozioni suscitate dall’opera d’arte sono sentimenti esistenziali senza tempo giacché universali. Solo così il documento può farsi monumento, monumento barocco, complessa cattedrale che sfida lo spazio e il tempo. Questa visione sublime dell’opera d’arte proustiana non è in contraddizione con tutta l’attività culturale dell’Associazione degli Amici di Marcel Proust di cui Gennaro Oliviero è segretario, né la natura costruttiva e operosa di tale attività è indipendente dalla città che la esprime. Fare vera cultura a Napoli, città di forti – se non di drammatici – contrasti, ma tanto piena di vita, domanda l’investimento di generosi e sinceri critici militanti. Le cattedrali di Gennaro Oliviero sono tutto questo: lo dimostra il fatto stesso di aver trovato in Lavinio Sceral uno schietto ed originale interprete, nostro contemporaneo, di quei pittori che al tempo del giovane Proust si confrontarono anch’essi con il topos della cattedrale. Non è nemmeno un caso che le cattedrali di Gennaro Oliviero siano state pubblicate prima di tutto nei «Quaderni proustiani» di cui egli è redattore. Il numero 5 si apre con una presa di posizione coraggiosa in difesa della cultura, contro la barbarie della camorra, e con un ritratto commovente di Albert Camus, intellettuale così libero da essere capace di andare controcorrente, e i testi di critica proustiana vi alternano con altri dedicati alla tragedia della Shoah. Anche nei «Quaderni proustiani» la cifra è quella di una critica militante. La chiave biografica scelta da Gennaro Oliviero per far penetrare il novizio lettore nell’opera di Proust è particolarmente accattivante perché con un linguaggio semplice ma saporito il critico propone un ritratto variegato e complesso dello scrittore francese: Gennaro Oliviero, come tutti i critici militanti veri, ha letto molto, se non quasi tutto ciò che è stato pubblicato su Proust, è informatissimo sulle novità appena uscite e propone un approfondimento bibliografico molto largo al lettore, dopo aver stuzzicato in lui molteplici curiosità senza mai cadere nella pedanteria. La sincerità e libertà di pensiero di questo critico è tale che una sua affermazione ci ha strappato una bella risata: Gennaro Oliviero preferisce i gatti a Proust! Un sano pizzico d’ironia che ci fa entrare ancora più volentieri, profanamente, nelle sue affascinanti cattedrali proustiane…

 Eleonora - 22/11/2011 17:21:00 [ leggi altri commenti di Eleonora » ]

Quello di Gennaro Oliviero è un testo appassionante alla lettura e di grande utilità per lo studio. Una grande ricchezza nei riferimenti bibliografici si accompagna infatti a una notevole capacità di andare dritto al cuore delle questioni: ne esce un’immagine di Proust che resta affascinante e suggestiva - per il ricercatore, come per il semplice lettore - pur avendo rinunciato a tutti quei clichés che ne hanno costituito l’aura mitica. Complimenti vivissimi all’autore!

 daniela Mastrocinque - 21/11/2011 20:57:00 [ leggi altri commenti di daniela Mastrocinque » ]

Esprimo i miei più vivi complimenti a Gennaro Oliviero, che con il suo generoso saggio, ricco di spunti riflessivi,districandosi con apparente leggerezza tra interessanti citazioni,testimonianze e contributi critici, ha messo a disposizione non solo dei cultori più esperti di Proust, ma anche di noi, poveri profani,la sua profonda conoscenza del mondo proustiano illustrandoci gli aspetti molteplici che ruotano intorno all’universo cattedrale nella Recherche, dalla forma che assume la scrittura, alla complessa struttura dell’opera,alle chiese, reali e immaginarie -che Proust trasformò in suggestione letteraria- fino a condurci all’arduo interrogativo sui rapporti di Proust con la religione.

 Gennaro Oliviero - 20/11/2011 09:11:00 [ leggi altri commenti di Gennaro Oliviero » ]

Tre amici carissimi,Laura,Michele e Carmine(di cui disvelo parzialmante l’identita’)mi hanno inviato una email con un ironico racconto,dal titolo "Una notte con Marcel Proust",aggiungendo di non avuto il coraggio di mandarlo a LARECHERCHE.IT.Sono sicuro di fare giustizia al loro talento,che gli ha consentito di inventare una storiella tanto divertente,ed anche un omaggio a Marcel Proust il quale-come e’ noto-amava ironizzare su amici e conoscenti,con gustose imitazioni,che talvolta provocavano stizzate reazioni da parte dei destinatari.Io sono invece molto felice pensando che gli amici mi amano tanto...da prendermi anche in giro(è anche questa una forma di attenzione e di amore.
Il racconto di Laura,Michele e Carmine è quello che segue.


UNA NOTTE CON MARCEL PROUST

Stanotte ho fatto uno strano sogno.
Mi trovavo sul boulevard Haussmann a Parigi e mentre passeggiavo un signore un po’ fuori moda mi vieni incontro sorridendo, quasi felice di potermi fermare e parlarmi; man mano che si avvicinava mi sembrava avesse un volto familiare,soprattutto mi pareva somigliasse a qualcuno di mia conoscenza,anche perché un po’ zoppicava e un pò ansimava, come se fosse malato. I baffetti scuri,la camicia di un colore sbiadito,i capelli brillantinati, l’abito elegante,davano subito l’idea di un gentiluomo di altri tempi,catapultato stranamente ai giorni nostri Mi ferma con un largo sorriso e mi dice: “Ah!finalmente incontro un amico del professore Oliviero; sono Marcel Proust, posso approfittare di lei per mandare un messaggio al mio grande ammiratore?”Alla mia manifesta disponibilità, l’uomo comincia a parlare,quasi sfogandosi:<< Il caro professore soffre, insieme ad altri naturalmente, di un vero accanimento terapeutico nei miei confronti; pur di mantenermi in vita
( letteraria naturalmente) non cessa di mettermi a confronto con le cose e le persone più disparate e perciò non mi fa dormire sonni tranquilli. Ogni momento ho degli incubi pensando a chi o a che cosa domani mi avvicinerà: se vorrà parlare delle mie preferenze per i biancospini o per i tigli, se mi piace lo Chateaubriand,se preferivo mia nonna a mia madre o a mia zia, se ero un benestante, se preferivo le cattedrali alle abbazie o la Bibbia al Vangelo,ecc.Insomma,qualsiasi cosa pur di mantenere in vita il mio spirito; adesso nientedimeno mi mette a confronto con le cattedrali: ma vi pare possibile,solo per aver detto talvolta che mi piacciono,devo ora passare questo guaio; a parte il fatto che io mi sono raramente mosso da Parigi,o meglio dalla mia dimora, ma che c’entrano le cattedrali con me; il Padredeterno infatti,da qualche giorno mi guarda storto e dice : “Ma come, invece di parlare di Dio e le cattedrali,ora si parla di Proust e le cattedrali; insomma,per farla breve,quello che era un Paradiso sta diventando un .. inferno.Il buon Dio si sta cominciando ad arrabbiare e dice:“Già,vista la tua condotta terrena,ti sopportiamo a stento,ma che poi da peccatore pentito devi addirittura apparire più importante di me mi sembra troppo: ti abbiamo assegnato,quando sei arrivato al reparto grandi scrittori dell’umanità,dove tu puoi trattenerti con Dante, Petrarca, Shakespeare, Goethe,ecc. ma se continua così finisce che ti declassiamo e ti mettiamo con Croce e Gentile”.Poi mi ha detto,”vai sulla terra a chiarire che il prof deve smetterla con questi paragoni;se riesci in questa missione può essere che un domani ti daremo per compagnia Eugenio Scalfari>> Di fronte a quest’appello così accorato non ho potuto far altro che promettere il mio intervento; il caro Marcel allora rassicurato mi ha sorriso e salutandomi con aria molto stanca,si è lentamente allontanato. Io, dopo tante emozioni, mi sono svegliato e ho pensato: devo raccontare tutto al prof…

 Sabrina Martina - 19/11/2011 13:59:00 [ leggi altri commenti di Sabrina Martina » ]

Colpisce, in questo saggio bello e fluido, l’insistenza su alcune linee "pedagogiche" di approccio alla lettura proustiana, per incoraggiare quanti abbiano la ventura di accostarsi per la prima volta alla Recherche. Personalmente condivido le linee critiche fondamentali seguite da Oliviero, in particolare la sottolineatura del carattere "dogmatico" della costruzione della Recherche e la rivendicazione della presenza di una trama, come scrive Oliviero, "complicata"; la feconda esitazione e delicatezza nel trattare il complesso problema del rapporto fra Proust e la fede; le preziose messe a punto sulla questione dell’autobiografismo in Proust e del rapporto fra letteratura e biografia, e su tanti altri aspetti dell’opera. Ma quello che più mi colpisce è la sintonia "sentimentale" di Oliviero con il suo Autore, che raddoppia e rispecchia la sintonia sentimentale che costituisce il nucleo generatore dell’argomento stesso del libro: Proust e le cattedrali. A tale proposito, mi permetto di citare dalla stessa lettera di Proust a Jean de Gaigneron dalla quale Oliviero prende le mosse, questa frase che mi sembra illuminante: "La vostra intelligenza va così profondamente al cuore delle cose che voi non leggete soltanto il libro stampato che ho pubblicato, ma il libro ignoto che avrei voluto scrivere". Colpisce questa evocazione proustiana del "cuore delle cose", nucleo oscuro da cui il passato risorge, imparentato alla terra e al corpo. Proust voleva lettori capaci di andare al cuore, e di compiere quel fecondo "tragitto dall’intelligenza al cuore" che è uno degli insegnamenti morali fondamentali della Recherche: che la pura intelligenza non basta e che occorre filtrare i dati e le acquisizioni dell’intelligenza al vaglio della sensibilità morale e della passione. Mi piace immaginare, con le parole di Oliviero, un Proust che, dopo essersi dedicato alla salvazione integrale del suo passato, intraprenda a dare nomi e volti al passato di tutti gli altri esseri umani.

 Forte Laura - 17/11/2011 23:27:00 [ leggi altri commenti di Forte Laura » ]

Sono piacevolmente colpita dal modo con il quale il professore Oliviero riesce a scrivere di Proust in modo sempre nuovo ed originale quasi anche la sua fosse una continua recherche del modo più giusto e più appropriato di avvicinarsi all’opera proustiana per cercarne sempre nuovi significati, nuove angolazioni, nuovi aspetti. L’amore,la passione per un autore ,per la sua opera, per i suoi personaggi, per le sue storie può essere una febbre che dura tutta una vita per cui,ogni giorno, si può scoprire ed indagare qualcosa che forse in altri momenti era passato inosservato o non attentamente valutato, specie se ciò che si ama si confronta continuamente con la realtà che ci circonda, con ciò che sentiamo nel nostro cuore o ciò che pensiamo nella nostra testa. Per cui caro professore complimenti e perchè Proust ormai ci sembra diventato un caro vecchio amico che ogni giorno ci allieta con i suoi ricordi attraverso le tue ricostruzioni così puntuali e perchè trasmettere a dei lettori tanta passione e fervore per un autore è un modo indiretto per dirci di fare lo stesso di entusiasmarci di farci prendere la mano e il cuore dalla vita. Se riuscissimo a conoscere quanto te Proust saremmo sicuramente più consapevoli di quello che la vita le persone e con loro le emozioni ci possono dare per riempirla di ricordi indelelebili e di eternità Laura Forte

 Anna Grazia Gerardi - 17/11/2011 09:23:00 [ leggi altri commenti di Anna Grazia Gerardi » ]

Monumentale, oserei dire, il saggio di Gennaro Oliviero, per l’abbondanza di riflessioni, approfondimenti, illuminazioni....... E che dire del ricchissimo corredo di note, testimonianza ulteriore della volontà dell’autore, intesa ad incoraggiare il lettore all’esplorazione di territori sempre più vasti! Ed a proposito della "vastità", mi piace riflettere sulla circolazione dei commenti al saggio attraverso Internet : se Proust avesse conosciuto il mezzo telematico, sono certa che se ne sarebbe servito. Sappiamo dell’interesse proprio del Nostro rigurado le "novità" che caratterizzarono l’ambiente e la società del Primo Novecento, quali il telefono, l’automobile, l’aereo. Si, l’aereo perché fu proprio un apparecchio che , come è noto, Proust regalò ad Alfred Agostinelli e, quasi per "superare" la prosaicità del dono, fece egli stesso incidere sul velivolo alcuni versi del sonetto di Mallarmé, "Le Cygne".
Tragico fu l’ultimo volo di Alfred, che si inabissò nelle acque antistanti Antibes per andare a raggiungere il regno delle ombre, quelle cui fa riferimento Gennaro Oiviero in un bel passo del suo saggio.
Sono le ombre che , per esplicita, suggestiva asserzione di Proust, gli chiedono di essere ricondotte in vita : tutto questo potrà avvenire, ed avverrà, attraverso il compimento di quel miracolo che solo l’arte, e quella di Proust in particolare, è in grado di compiere.

 Gennaro Oliviero - 14/11/2011 19:59:00 [ leggi altri commenti di Gennaro Oliviero » ]

Mi è stato fatto osservare che in un sito come Larecherche.it,fondato sulla relazione tra i lettori e gli scrittori,sia importante anche un "ritorno"dell’autore commentato.Nel condividere questa osservazione,anche per il garbo con il quale è stata espressa,colgo innanzitutto l’occasione per ringraziare coloro(tutti in effetti)che finora hanno espresso apprezzamenti lusinghieri nei riguardi del mio saggio"Proust e le Cattedrali".Nel contempo però sento il bisogno di motivare il mio "silenzio",onde evitare che venga interpretato come manifestazione d’indifferenza verso i lettori ed, a maggior ragione,i commentatori.
Credo ci sia-in linea generale- un contrappunto tra il tempo degli eventi e la durata:è la grande scoperta di Bergson,illustrata da tutti gli scrittori che hanno visto,come dice Proust nel Sainte-Beuve,"la letteratura sotto la categoria del tempo".Scrittori come Aldous Huxley,Conrad,Joyce,Faulkner e tanti altri che rinunciano al concetto tradizionale del tempo irreversibile.Essi oppongono alla continuità cronologica la continuità psicologica e con essi la scrittura oscilla in un relativismo temporale.Possiamo ricordare Virginia Woolf,per la quale il tempo è una quarta dimensione che completa lo spazio,o anche Proust in cui l’azione metaforica della memoria completa il tempo.Orbene questa considerazione del tempo,nelle molteplici articolazioni sinteticamente descritte,mi appartiene direi caratterialmente prima che concettualmente:da qui la mia "riluttanza"allo scambio ed al "ritorno" di cui all’osservazione iniziale:nessuna indifferenza ,nessun atteggiamento di sufficienza,ma solo tacito apprezzamento di quanto con tanta disponibilità è stato scritto dai commentatori che finora mi hanno onorato della loro attenzione,

 monica ventra - 06/11/2011 23:51:00 [ leggi altri commenti di monica ventra » ]

Ho appena attraversato questo breve saggio fiume; mi sono fatta trasportare dalla sua corrente, dal suo entusiasmo controllato solo da un lucido pensiero.
L’identità fluviale dello scritto di Oliviero risiede e scorre, secondo me, nelle parole cariche di un sentimento che è da intendersi come funzione razionale (in senso junghiano) di un io coinvolto mentre scrive, eppure vigile. L’idea di brevità mi viene invece non da fattori quantitativi, di durata, bensì da qualità specifiche del suo discorso sull’onda di una mia ricezione soggettiva, ancora fresca.
Ora che poi ho stampato il saggio e ne sto fuori, qui sulla carta ripercorro il fiume (senza aggettivi né motori di ricerca), e ne individuo allegramente il corso: sembra un miracolo, ma sì, questo imponente fiume, con la portata dei suoi contenuti - quelli che mette in circolo, per altri, o che sostiene - non straripa. Perché il discorso proprio no, non sfocia mai nel sentimentalismo, non invade. Quello che preme ad Oliviero è tessere contatti: ipotizzando un pubblico di potenziali estimatori frequentatori abitatori di un luogo fatto di parole prese a trascendere se stesse (la Recherche) - vuole rendere conto pure e soprattutto - nella costante ammirazione per lo spessore originario e la profondità della sostanza di una voce da cui ogni voce successiva ha tratto linfa - della materia accumulatasi via via su di essa e intorno ad essa.
L’intento programmatico sotteso al saggio, tutt’uno con l’istinto di chi va a caccia di infinite fondamentali piccole rivelazioni, è di tale portata che rischierebbe di sballottare da un versante all’altro della critica su Proust i mille rivoli di suggestioni, forti e sentite, da cui parte, se non lasciasse intravedere, con limpidezza estrema, fin da subito, tutto il piacere di una lettura consapevole, disposta generosamente a propagarsi per contagio, sobria ancorché allusiva ogni momento a quel legame - spesso sottile in chi legge rilegge e scrive con ogni parte di se stesso, con la contraddittoria umanità di cui è capace - tra superficie e abissi, terra e cielo.
Nell’animo e nell’opera di Proust, ci suggerisce il saggio di Oliviero, questo legame - nell’oscillare eterno tra narcisistica ricerca di attenzione (“moribondage” o esternazione martellante, extra Recherche, del suo precario stato di salute) e costruzione di un universo sublimato, continuamente ricercato (la Recherche), sfocia nel segno della cattedrale come metafora di un’ambizione all’assoluto resa concreta dall’azione dello scrivere.
Nell’animo e nel saggio di Oliviero - ci suggerisce l’opera di Proust - la congiunzione terra-cielo, con le varianti che miscelano solidità e leggerezza, struttura testo ed improvvise immagini di gatti amati, extradiegetici, messi ad attraversare, per gratitudine o struggente nostalgia, le numerose note a piè di pagina, passa per la potenza di un discorso tutto intriso dell’elemento acquatico della socievolezza, della flessibile attenzione preventiva per i possibili discorsi pronti ad accorrere come affluenti.
Io sono accorsa dopo un po’; prima del tuffo mi perdevo tra le pietre di un episodio troppo comune per essere proustiano.
Monica Ventra

 marco nuti - 03/11/2011 18:57:00 [ leggi altri commenti di marco nuti » ]

L’arte gotica “rappresenta” le grandi leggende e le verità della fede come in una Bibbia di pietra. L’architettura gotica abbandona vertiginosamente la terra, i cieli si aprono e la terra vi entra con tutte le sue pompe profane. Questo trionfalismo, fatto di volontà e di desiderio, contrario a ogni divorzio tra natura e gloria mistica, viene magistralmente vivificato dal linguaggio chiaro e accattivante delle pagine che Gennaro Oliviero dedica al motivo delle cattedrali ( e non solo) in Proust. Come un Rubens rutilante di vita e un Greco teso nello sforzo atletico, bruciato dall’ascesi, Oliviero, con spirito quasi liturgico, immerge il lettore nell’ideale cui tende costantemente lo spirito di Proust, una mediazione cioè d’immanente e di trascendente, una congruenza intima tra finito e infinito. C’è da porre in rilievo che al pregio della compiuta veduta panoramica offerta dal lavoro nel suo complesso, si associa altresì il pregio di una serie di penetranti sondaggi analitici, ciascuno dei quali occupa ciascuna delle sezioni in cui il lavoro stesso risulta scandito. In ciascuna di tali parti, lo studio si appunta ad indagare - con una lettura concettualmente e metodicamente bene attrezzata e molto accurata – singole, rilevanti esperienze del pensiero e dell’estetica.

Come ricorda lo stesso autore, un momento decisivo nella ricerca che Proust effettua di una poetica, valida a organizzare il materiale narrativo accumulatosi nel Jean Santeuil, è rappresentato dall’incontro dello scrittore con l’opera di John Ruskin, il critico d’arte inglese vissuto nel secondo Ottocento. La storia di questo incontro ha le movenze di una folgorazione amorosa: Proust si appassiona a tal segno di quel pensatore d’oltre Manica, guida morale e intellettuale ai suoi tempi per generazioni di giovani, che lo elegge senza riserve suo maestro. Cimentandosi nel tentativo di tradurre le sue opere (sebbene la sua conoscenza dell’inglese sia alquanto superficiale), dalla sua penna escono due splendide versioni di The Bible of Amiens e di Sesame et lilies. Oliviero sottolinea come Proust non poteva non essere profondamente colpito dal suo pensiero. Ruskin concepiva la Bellezza come entità a sé stante, che bisogna amare indipendentemente dal piacere che procura. Una simile concezione del Bello, oggettiva, metafisica, moralmente limpida e stabile, al punto da identificarsi con una sorta di etica, sembrava a Proust tanto più valida in quanto rispetto all’estetismo scettico, frivolo, smarrito nel culto dei particolari di bellezza, rappresentava l’unica alternativa possibile, saziando quella sete di assoluto che aveva sempre distinto la sua personalità di scrittore. Nella prefazione a La Bible d’Amiens, Proust mostrava completa solidarietà col nuovo maestro. Pochi anni dopo, si sarebbe reso conto dell’amaro inganno nel quale era caduto.
Ma ciò che a parer mio colpisce, nelle intriganti pagine del saggio di Oliviero, è che il tema ascensionale della cattedrale traduce una sorta di conoscenza come auto-realizzazione di sé attraverso la scrittura. Al di là delle certezze raggiunte, delle essenze sfuggenti e delle menzogne non aggirabili, Oliviero evidenzia con elegante maestria che ciò che colpisce del romanzo proustiano è l’omologia tra scrittura senza fine e ricerca sempre aperta di leggi, tra la forma del romanzo e la sua materia filosofica. Sia la dinamica della scrittura sia quella della ricerca che essa descrive tendono a non chiudersi mai (metafora della cathédrale), a non aver mai fine. La Recherche come opera che suggerisce un lavoro della conoscenza sui territori dell’interiorità e dei costumi umani, che rifugge al tempo stesso dall’irrazionalismo e dall’intellettualismo e che proprio per questo non può appagarsi né dell’intuizione pura né della definizione assoluta, un lavoro destinato – come suggerisce il critico napoletano – a restare sempre aperto e a non trovare sosta se non nella morte del suo autore.

 Aldo Antonio Cobianchi - 02/11/2011 16:41:00 [ leggi altri commenti di Aldo Antonio Cobianchi » ]

Come Fiduciario per Napoli della Società Italiana dei Francesisti S.I.DE.F. ho letto con grande interesse e con profonda ammirazione il pregevole lavoro del prof. Gennaro Oliviero.
Proust è un autore complesso anche se apparentemente d’immediata, “proletaria” lettura. La sua opera tutta è stata, soprattutto in passato, un bestseller di cui non poter fare a meno: per moda, per curiosità, per culto da fan club. L’autore francese era diventato un’icona, un Che Guevara della letteratura, da seguire incodizionatamente anche quando poco o nulla si conosceva o si era letto di lui… Spesso riassunto in un semplice riferimento culinario (quello delle madeleines) o richiamato, anche a sproposito, come antesignano della psico-letteratura (quello del ricordo).
Ma ad una lettura “adulta” - o, forse, reale - degli scritti proustiani si può comprendere quanto il suo dire fosse intriso di un florilegio di riferimenti culturali, celati dall’Autore in un giocoso rebus voluto di apparenti semplici dettagli, di inutili descrizioni minuziose, di figure dipinte in stile esageratamente manieristico. Oliviero ha saputo scovare e “sbucciare” una delle tante tematiche celate nella “poetica” proustiana, quel topos della Religione (come senso del sacro, della storia, dell’aldilà nella quotidianità che rendono lo scrittore un dio-creatore i cui testi e manoscritti sono come maestose cattedrali o incompiuti santuari) che si insinua nel tema, più vasto, del viaggio - nei luoghi, nello spazio, nel tempo, nell’anima. Un argomento complesso per lo stesso Proust, paragonabile più che agli scarni ingredienti di una madeleine a quelli di un gâteau de mariage a più piani degno di quell’aristocrazia/intellighenzia francese per la quale Proust provava un purissimo “odi et amo”.
Al di là, perciò, dell’indiscusso valore dell’articolata “ricerca nella ricerca” e dell’analisi critica ragionata compiute da Oliviero, Proust e le Cattedrali rappresenta un invito alla lettura o alla rilettura dell’opera dello scrittore francese, cercando, come in una partita a scacchi con Proust, di prevedere le mosse dell’avversario e/o di saperne cogliere la strategia.
Complimenti prof. Oliviero, scacco matto a Marcel!

 Giorgio Mancinelli - 01/11/2011 12:23:00 [ leggi altri commenti di Giorgio Mancinelli » ]

Un complimento particolare va a Roberto Maggiani per la ricerca oculata dell’immagine "accattivante" e insolita, che ci fa partecipi tra gli spettatori attoniti e inorgogliti dell’esposizione di un ritratto a noi famigliare. Grazie.

 Giorgio Mancinelli - 01/11/2011 12:19:00 [ leggi altri commenti di Giorgio Mancinelli » ]

Un lavoro pregevole questo di Gennaro Oliviero al quale indirizzo i miei sinceri complimenti per esserci cimentato in così nutrita ed eloquente scrittura. Siamo di fronte a un libro (e-book) prezioso di cui La Rivista Letteraria La Recherche è certamente orgogliosa di aver pubblicato. Prezioso, dicevo, al punto che vorrei vederlo stampato per omaggiare la mia già copiosa libreria, e magari approfittarne per liberarmi di qualche scartoffia meno degna. Il pregio sta nel fatto che ci offre un escursus proustiano che non solo ci aiuta a comprendere alcuni passaggi di una scrittura per qualche verso "introversa", ancor più, ci offre una panoramica di tutto quello che gira intorno (dall’altro ieri fino ai nostri giorni) all’opera forse più acclamata, criticata e studiata del XX secolo. Autori, critici, linguisti e quant’altri si sono affaccendati intorno ad essa, rispondono in questo saggio alle nostre interrogazioni, ai dubbi soventi dati dalle incomprensioni del testo, alla stanchezza molto proustiana che talvolta ci assale mentre leggiamo o rileggiamo un capitolo, o nel cercare in uno dei suoi molti personaggi, quello che più ci assomiglia, che più è vicino alla nostra comprensione o al nostro alibi esistenziale. Sono pienamente d’accordo con l’autore del saggio riguardo alla diatriba (piecevolmente amichevole) con Eugenio Scalfari, riguardo alla trama non trama del romanzo che più avanti piega anche Raboni (pag.84) Tuttavia parto da un altro presupposto (confutabile) che non potrebbe o dovrebbe chiamarsi romanzo ciò che non ha trama, in più aggiungo che la "Recherche" è a tutti gli effetti "la trama", quell’indagare cui ognuno di noi "mediateur du désir" quando scrive o semplicemente legge, va alla ricerca. Altro aspetto eccellente del saggio è l’essere un compendio d’arte del quale, pur non essendo io così addentro, mi avvalgo di apprendere, facendomi ora condurre per mano nella conoscenza di un certo Lavinio Sceral che rappresenta una continuità pittorica e letteraria del nostro amato Proust. Non nascondo di avere avuto all’inizio di lettura una qualche perplessità nel dare un senso compiuto alle parole "complicato" e "complesso" (pag.4 e ancora pag.15 e pag.24) utilizzate nel testo, soprattutto per la diversità sostanziale che esse esprimono. E’ mia opinione che semmai la Recherche è un’opera complessa che complicata; e ciò vale per Proust che oso dire essere una figura complessa, non complicato. Una chiarificazione che comunque arriva nel testo, credo a pag 45 dallo stesso Raboni. C’è poi una qualche defiance derivata dalla mia scarsa comprensione dell’uso di alcune parole, ad esempio lì dove si dice (pag.15)".. resa drammatica dalla consapevolezza della terribile lotta con la stanchezza, la malattia e la morte che Proust dovrà sostenere per portare a compimento la sua costruzione". Ritengo che qui la "morte" sia un fatto successivo al lottare, direi definitivo, che chiude il rapporto "vivo" della lotta (?). A meno che non si faccia riferimento al"l’idea della morte" che Proust reca in sé.
non
Ma queste, permettemelo di dire, sono diatribe che riguardano noi comuni mortali che Proust ha lasciato orfani di un suo intervento a posteriori. Io mi fermo qui, facendo i migliori auguri a Gennaro Oliviero per questo "eccellente" saggio che ci ha regalato.




 Mimma Ciervo - 31/10/2011 11:23:00 [ leggi altri commenti di Mimma Ciervo » ]

Et voilà, come al solito i testi di Gennaro Oliviero sono sublimi, fantastici, ti fanno sognare, ti fanno vivere in altre epoche e sopratutto nell’epoca proustiana tanto amata dallo scrittore.
Il tema delle cattedrali poi degli ultimi tempi ci ha legato in varie manifestazioni in Italia e all’estero, proprio in questo momento siamo a Parigi, Galleria Monteoliveto, 55 rue de Seine, dove tra varie mostre c’è un angolo dedicato ad un’opera pittorica di Lavinio Sceral già autore de "La cattedrale bianca" inserita in questo e-book, "Proust et la Bible" meta di proustiani parigini.

 Guglielmo Peralta - 31/10/2011 09:47:00 [ leggi altri commenti di Guglielmo Peralta » ]

Bella, "grandiosa" opera è questa di Gennaro Oliviero che suscita molte meditazioni, che dà spazio all’anima del lettore, il quale può ritrovarvi quelle identità e somiglianze, già proustiane, che accendono sensazioni e sentimenti improvvisi e, tuttavia, a lui familiari. Anche per me, come per Proust (senza volermi paragonare a lui - ognuno è lo spirito che ha "ricevuto", con le somiglianze e le differenze rispetto agli altri), le città hanno una fisionomia particolare. Esse producono, esercitano su di me, da molto tempo ormai, una grande fascinazione avendo cessato di essere luoghi fisici e visitabili, essendosi trasformati in luoghi dell’anima, invisibili eppure contemplabili in interiore. E ciò attraverso la letteratura, attraverso i poeti, gli scrittori, gli artisti, amati sui banchi di scuola, la cui "immagine", il cui volto ha finito per aderire e identificarsi con i luoghi in cui sono nati o in cui hanno operato. Così, Recanati è Leopardi; Assisi è Francesco; Arquà Petrarca è l’altro Francesco; Urbino è Raffaello; Certaldo è Boccaccio; Firenze è Dante e, ovviamente, potrei citare tantissime altre città e luoghi del mondo. Ma anche campanili, piazze e monumenti rientrano in questa "metamorfosi", diventano vita, biografia di un autore, di un grande uomo! (A Recanati, il campanile è il "passero solitario"; la piazza, nei pressi di palazzo Leopardi, è "Il sabato del villaggio"; perfino la luna, lì, ha il volto pallido, emaciato, dell’amatissimo Poeta!). Percorrere queste città è ritrovare, con questi grandi uomini, parte di sè stessi, della propria adolescenza e giovinezza. E’ entrare come in sogno dentro quelle anime grandi, così come nel bellissimo film di Kurosawa, "Sogni", il pittore entra nel quadro di Van Gogh.

  Gennaro Oliviero - 30/10/2011 11:19:00 [ leggi altri commenti di Gennaro Oliviero » ]

Ringrazio Loredana Savelli che scrive che il mio saggio "incoraggia anche i profani ad aprire un pò l’enorme portale de ’LaRecherche'. La rivista "Quaderni Proustiani", di cui ho l’onore di essere curatore,, persegue in fondo un analogo obiettivo,attraverso l’individazione di studiosi che hanno come comune denominatore un’elevata conoscenza dell’opera proustiana, ma anche ’amateurs’, per lo più giovani,animati da quella ’passion proust’ che è spesso alla base di interpretazioni e letture nuove della "Recherche", più rispondenti allo spirito del tempo presente e che confermano l"attualità" dell’opera proustiana.
Nel prossimo numero della rivista (il sesto) che ha cadenza annuale-uscirà a dicembre-pubblicheremo la copertina dell’eBook n.90 della "Rivista Letteraria Libera-LaRecherche", per una sempre maggiore circolazione dell’opera e della figura di Marcel Proust.

 Loredana Savelli - 29/10/2011 13:02:00 [ leggi altri commenti di Loredana Savelli » ]

Grazie a Gennaro Oliviero per questa pubblicazione interessante e accessibile che incoraggia anche i profani ad aprire un po’ di più l’enorme portale della cattedrale de "LaRecherche".

 Gerardo Pedicini - 29/10/2011 08:09:00 [ leggi altri commenti di Gerardo Pedicini » ]

Il percorso di Gennaro Oliviero è affascinante. Ci consente di avvicinarsi alla visione delle cattedrali di Proust con la focalizzazione di un cannocchiale rovesciato, permettendoci di mettere a fuoco l’intimità del pensiero di Marcel Proust. Interessanti anche il ciclo pittorico di Lavinio Sceral che suggerisce ed evoca le pagine dello scrittore francese.

 Franca Alaimo - 28/10/2011 17:10:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

Ho letto con molto interesse questo testo di Gennaro Oliviero, spinta dal mio affetto per Marcel Proust e, di conseguenza, per tutti quelli che se ne occupano. La lettura di Oliviero è affascinante e non solo perché genericamente non esiste una grande opera letteraria che non sia un monumento affascinante di parole ed idee con la sua struttura portante e tutti gli altri elementi che la costituiscono e ne determinano la bellezza e l’equilibrio, ma soprattutto perché questa affermazione, come ha bene evidenziato Oliviero, nel caso dell’opera pruostiana, non è una metafora, e non è nemmeno soltanto un metodo,ma mette in campo quella che Cristina Campo definirebbe "l’eletta figura", cioè l’idea, la visione fondativa del mondo. Quando si legge il primo dei libri de "La recherche". ci simbatte già in essa e, a lettura ultimata, si capisce che da essa è fiottata un lungo percorso di disvelamento del proprio sè attraverso una scrittura che è come uno sguardo più volte ripetuto e sempre più ampio e consapevole della cattedrale della propria vita.
Anche delle altre arti, Proust cerca la struttura, come nel famoso brano di Vinteuil ( spero di ricordare bene il nome) e nelle tele minutamente e simbolicamente descritte.
L’opera di Proust svetta come un campanile sulla letteratura del novecento e questa sua altezza produce un senso di progressiva vertigine, che diventa visione. Quando questo accade l’arte genera l’arte; ecco perché a Proust Oliviero affianca senza alcuna forzatura le opere pittoriche di Lavinio Sceral, riconducendole a reviviscenze proustiane ed immettendole, così, nella felice intuizione della memoria involontaria dell’autore de La recherche. Il libro è di godibilissima lettura.

 Antonio De Marchi-Gherini - 28/10/2011 14:33:00 [ leggi altri commenti di Antonio De Marchi-Gherini » ]

Scrittura fascinosa, accostamenti audaci, ma anche le pietre pulsano di vita propria e compartecipata. Struttura narrativa ben congegnata, un lavoro egregio, insomma, complimenti

 Stelvio Di Spigno - 28/10/2011 10:37:00 [ leggi altri commenti di Stelvio Di Spigno » ]

Proust e le cattedrali sono eleaticamente identitarie. Proust era una Cattedrale, la più alta d’Europa. Grande la mia meraviglia per questo accostamento intelligente e appassionato.

 Marco Perillo - 28/10/2011 10:17:00 [ leggi altri commenti di Marco Perillo » ]

Non poteva, un animo come quello di Proust, restare insensibile alle cattedrali francesi, vascelli puntati verso il cielo, che sfiorano Dio. Ricordo quando mi persi una sera a Parigi e trovai rifugio nelle varie St. Eustache, St. Sévérin e altre. Erano proprio ’libri di pietra’...
Marco Perillo

 rosalba - 27/10/2011 20:34:00 [ leggi altri commenti di rosalba » ]

Che straordinaria sensibilità così partecipe ed empatica con l’Autore. Veramente una chiave di lettura della Recherche appassionata ma sopratutto chiara e scorrevole si sente la passione del lettore.

 Antonio Sodano - 27/10/2011 19:16:00 [ leggi altri commenti di Antonio Sodano » ]

Una summa di suggestioni che si lasciano apprezzare per il perfetto equilibrio tra gli apporti culturali e la partecipazione emotiva,dalla quale traspare uno sconfinato amore per l’opera e la figura dell’Autore prediletto,che"rivive" in un contesto di iniziative di ampio respiro a conferma della universalita’ del "mondo proustiano".