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Acqua piena di acqua

Romanzo

Cinzia Della Ciana
Effigi Edizioni

Recensione di Franca Alaimo
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Pubblicato il 01/12/2017 12:00:00

 

Acqua piena di acqua è il titolo emblematico di un romanzo atipico, che privilegia piuttosto che una trama di accadimenti oggettivi all'interno di un riconoscibile e preciso assetto cronologico, una forma di narrazione “interiore”, che, spostando il suo baricentro all'altezza delle ripercussioni delle vicende nella psiche dei personaggi e delle emozioni memoriali nella sfera privata, introduce quella nota di struggente melanconia della percezione temporale che è una delle note più costitutive di questa prosa.

Già l'elemento dell'acqua rimanda per antonomasia al fuggevole scorrere del tempo, alla sua instabile liquidità, al fluire inarrestabile della vita, e, come evoca il titolo, anche ad una sua funesta eccedenza.

Non a caso l'acqua piena d'acqua è un modo di denominare, in genere, la piena di un fiume, sebbene il riferimento sia, in questo romanzo, storicamente ben definito, alludendo a quella che inondò le strade di Firenze e di Pisa, nel novembre del 2000: un evento drammatico rimasto impresso nella memoria di tante generazioni; ma che, all'interno di questa particolare tessitura di vicende, assume un significato fortemente emblematico di un esondazione liberatoria di ossessioni e nodi psichici che vengono infine scavalcati dall'ultima delle tre donne protagoniste: Letizia (la nonna), Anna (la figlia), Ludovica (la nipote).

Quella storia taciuta nell'oggettività delle sue vicende socio-politico-economiche, e che si dipana, grosso modo, attraverso tre generazioni, dal secondo dopoguerra fino al 2000, diviene, allora, la voce  di una donna nuova, finalmente libera, consapevole e responsabile, che ha abbandonato le sponde delimitanti, rischiando coraggiosamente il travolgimento. Una donna che si racconta  come soggetto della propria storia, del proprio spazio interiore di sentimenti e desideri, e come soggetto della Storia quale spazio concreto e tempo fertile da abitare con il corpo e la mente, con la volontà e la gioia di essere finalmente se stessa.

Ludovica, la giovane ricercatrice universitaria, che, contravvenendo agli ordini dei vigili, oltrepassa il ponte sul fiume disastrosamente in piena, rappresenta il salto generazionale, il passaggio dal cronico mutismo ossessionato della nonna Letizia alla parola che decide e pretende; dalla costrizione dentro ruoli soffocanti e noiosi confinamenti tra le pareti domestiche alla libertà del fluire insieme all'acqua della Storia, con la possibilità di stabilirne il corso.

In definitiva la storia di questo romanzo è quella del riscatto femminile dal dopoguerra agli anni 2000 (che nel chiudere un ciclo introducono il nuovo); forse è la storia di una sola donna, che, dopo avere ripetuto all'interno della propria biografia, i limiti e i dolori e gli errori delle donne della sua famiglia, riesce a liberarsene e a dare una nuova lettura degli eventi precedenti, riscattando anche le altre, tutte le altre.

Una storia di questo tipo doveva necessariamente spezzare gli stereotipi narrativi per fare respirare il proprio alfabeto spirituale, e procedere, così come fa, attraverso sequenze analogicamente associate, fili misteriosi che cuciono tempi e luoghi, tentare figure e emblemi di spericolata originalità.

 


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