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Gli anelli di Saturno

Poesia

Fernando Della Posta
Ensemble

Recensione di Fabrizio Bregoli
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Pubblicato il 01/02/2019 12:00:00

 

Titolo misterioso questo “Gli anelli di Saturno” che Fernando Della Posta ha voluto dare alla sua nuova silloge poetica, lanciando al lettore una evidente sfida interpretativa, forse con l’intenzione di lasciare aperta la prospettiva di molteplici chiavi di lettura, possibilità che viene confermata dalla totale assenza di riferimenti di tipo astronomico o anche solo lontanamente attinenti al significato o alla simbologia che comunemente si tende ad associare a Saturno.  Forse sta nella eterogeneità delle formule espressive che l’autore sceglie all’interno della silloge un possibile appiglio per la comprensione: assistiamo infatti a una disseminazione di significati che, come i milioni di frammenti che formano gli anelli del pianeta dall’asse inclinato (ulteriore indizio perché il lettore adotti un piano obliquo d’osservazione, ossia fuori dagli schemi convenuti?) tocca al lettore portare a un centro di gravitazione-interpretazione, introiettando la materia poetica che l’autore gli sottopone.

La raccolta comprende infatti soluzioni poetiche multiformi che vanno dalla poesia-pensiero alla intimistica, dalla poesia scaturita dalle “occasioni” minime (quasi nugae) a quella scritta alla maniera dei maestri, dalla poesia scaturita da aneddoti di vita vissuta a quella autoriferita o metalinguistica; se è possibile individuare un fattore comune è la tensione etica di fondo, l’idea di una radice comune dell’essere umani che per mezzo della poesia va riscoperta per portare a una nuova condivisione, tutta laica, senza fughe trascendentali, ma come accettazione di una compartecipe fragilità ontologica di per sé insopprimibile (vedi foglia tra le foglie).

Per comprendere la modalità espressiva dell’autore, la sua cifra stilistica, si consideri la poesia Metalinguistica di genere riportata integralmente, a nostro giudizio fra le più incisive

 

L’apostrofo l’accorgimento

ulteriore, il segno di un’offesa

commessa altrove.

Costola di Adamo

che indica lo strappo

la mancanza, l’applicazione

di un lenimento

su una ferita che non c’è mai stata.

 

È qui evidente la modalità, frequentemente riscontrabile nella silloge, dello scarto o sfondamento semantico, ossia il trasferimento da un contesto semantico (il piano linguistico-ortografico, ossia l’uso dell’apostrofo in una elisione per indicare il genere femminile) a un altro (il piano etico-sociale, dove questa elisione diviene percezione di uno strappo, evidenza di quella frattura fra i generi che ancora nella società contemporanea non è stata adeguatamente colmata): con questo procedimento, dettagli minimi diventano sottili suggestioni che inducono a compiere un passo oltre, riscoprire un piano ulteriore del linguaggio aldilà di quello immediatamente percepibile.

In questo modo, la poesia di Della Posta fa di questa essenzialità, a tratti sentenziosa, ma mai moraleggiante, la propria firma d’autore, a favore di una dizione sempre precisa ed essenziale, parsimoniosa a livello di figure retoriche per lo più ridotte a una centralità metonimica che guida le singole composizioni. È una poesia dell’argomentare, strutturata secondo un’architettura guidata da un’esigenza intrinseca di razionalità, che vuole costruire, senza per questo essere vacuamente edificante: ogni richiamo all’etica condivisa, compiuto per exempla, ha tutta la sobrietà che dà evidenza del suo messaggio per naturale missione a dire, come l’autore ci ricorda nella poesia Szymborskiana

 

Scrivere è ritrovarsi in una casa altra

votarsi naturalmente ad essa

rassettare tutte le sue stanze

con l’ottimismo della tigre:

l’inconsapevolezza che tratta incautamente

tutte le consapevolezze.

 

Ma il gesto si fa sempre più controllato

e l’edificio necessita d’interventi

sempre più particolareggiati,

o forse le crepe danno troppa luce.

 

Gli stessi omaggi ai grandi maestri, da Leopardi a Proust, da Pessoa a Pavese fino al non dichiarato (ma citato) Eliot, oltre a porsi come evidenti prove di stile, sono anche dichiarazioni esplicite di affinità nella poetica, dediche affettuose e sincere che servono a contestualizzare e personalizzare la propria. Alla tradizione si unisce poi qualche sana diversione (quelle che vivificano la poesia) come certi termini concretissimi (burraco, drink, cacciare un soldo, bretella metropolitana), l’inserimento di riferimenti alla musica elettronica e alternativa (Marlene Kuntz, Fatboy Slim) o come per l’istituzione di un’insolita analogia fra punk e poesia (giocosamente indicato come treat or trick?)

 

Il punk vero non è punk. Solo quando è vero, è poesia.

La sua motivazione è un grande inganno

ma un inganno assestato col cuore.

 

L’autore ci parla, come s’intitola una sezione del libro, dallo spazio profondo, dalla zona dell’errore che si annida nella nostra interiorità per indurci a un riequilibrio delle scelte, così che basti il lancio, armonico / rispettoso del dettato del mondo per una riorganizzazione valoriale del vissuto, prima personale e interiore, quindi collettivo e universale. Questa necessità della poesia come apertura verso l’altro (inteso anche come il nostro inconosciuto da riscoprire) è quindi il vero filo conduttore della raccolta come viene anche ribadito dalla poesia in chiusura: smascherare il nostro doppio inconfessabile, quello che ci porta alle scelte sbagliate, ad allontanarci da quella solidarietà e comprensione che è alla radice del nostro essere uomini.

 

Non è chiaro mai

quanto gli altri ci nascondano

e spesso noi non siamo altro

che l’altro di noi stessi.

 

Il doppelganger è un gioco di spirali

fumose. Fortunato è chi

al suo apice

gli spicca un bacio.

 


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