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Il mondo del lettino

di Valentina Grazia Harè
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Pubblicato il 06/09/2011 12:01:15

"Bimbo piccolo ha paura grande... " Era davvero un bambino piccino che pronunciava queste parole; la famiglia lo amava, ma aveva anche cominciato a temerlo, in casa erano imbarazzati quando lui parlava. Infatti lo considervano un bambino un po' pazzo. Asociale e scontroso. All'asilo passava ore a guardare i compagnetti giocare e lui avrebbe voluto unirsi alla loro allegria, ma pensava sempre che loro erano bravi, belli e simpatici e lui non era né bravo, né bello, né simpatico. Lui era quello che aveva un'altra vita nascosta nel buio della sua stanza e, proprio quando la mamma gli spegneva la luce, la sera, si accendeva un mondo fantastico con tanti, tanti amici che gli volevano bene.
La maestra era anche lei come tutti gli altri del mondo fuori dal lettino. Anche lei non capiva. "Certo, il mondo del lettino è fatto per bimbo e basta", diceva il piccolo.
La giovane maestra un giorno volle parlare con la mamma di Facito, questo il nome del bambino.
Si incontrarono in una mattina, e tutto sembrava pesante. Facito aveva cominciato a piangere già da quando era in macchina. E aveva continuato alla vista della maestra. Lui pensava: "Ora mi levano il mondo del lettino e i miei amici!" E la disperazione era quella di un esiliato dal suo paese buffo e necessario, e costretto a vivere in un paese, invece, dove c'è solo profondo pianto.
Poi il bimbo si mise a giocare, sempre con un'aura di tristezza sul viso delicato. Quasi senza voglia, senza energia, si mise a giocare col trenino.
Poi gridò: "mamma, mamma, quando è stanco il trenino dove va a dormire?"
"Sta un po' fermo alla stazione, gli danno a mangiare il carburante e poi va di nuovo", disse la mamma, ma Facito voleva sapere tante cose.
"E quando dorme è solo?"
La maestra disse: "tutti quando dormiamo siamo soli"
"Bugiarda, la maestra è bugiarda!", il bambino piagnucolava.
La mamma: "mi scusi, signorina: è un problema, davvero, educarlo"
Il bambino disse: il treno ha pure i suoi amici quando va a dormire. E io lo so"
Poi con molta convinzione, buffa per un bambino così piccolo e che strascicava le parole: "il trenino si stanca di sentire tutte le persone che litigano: le valige pesanti, gli orari delle partenze... " Poi con aria d'accusa, disse: "Non è bello che il trenino debba sentire sempre le liti, le grida, il chiasso. Non è bello. Poi la notte lui incontra i suoi amichetti e sta bene con loro perché loro gli vogliono molto bene e parlano tutti a voce molto bassa, e si dicono: <<tesoro, amore, gioia>>"
La maestra e la mamma erano senza parole. Ci sarebbe voluto uno psicologo, ma quando la maestra lo fece presente alla sua interlocutrice, questa si scandalizzò e disse: "noi non abbiamo familiarità con queste cose. Cercheremo di aiutare nostro figlio come meglio possibile"
Poi sembrò commuoversi, ma forse di più per se stessa, per l'immagine di sé che stava costruendo alla donna che l'ascoltava: "Sapesse quanti soldi spendiamo per lui... Fa piscina, ha un maestro di pianoforte, ha un letto a castello. E' un principino"
La maestra chiese da cosa nascesse questa irrequietezza del bambino. L'altra le rispose: "forse è nato così. Noi siamo tanto a posto, sa? Certo spesso litighiamo, ma lui non se ne accorge perché lo metto nella sua cameretta con i giochi e gli chiudo la porta. Gli dico che quando vuole qualcosa non deve fare altro che bussare"
Questa era la loro filosofia stupida. Ma il bambino sentiva le liti anche con la porta chiusa, anche se non c'erano liti sentiva il clima di guerra, e la sua trincea, dove per poco poteva stare al sicuro, erano i sogni della notte.
Mentre se ne andavano via, la mamma disse: "papà ci aspetta, andiamo!"
Ma il piccolo voleva capire il mistero del trenino: "mamma, ma com'è che il trenino va così veloce, da dove la prende tutta questa energia?"
"E' elettrico, l'hai detto tu"
"Sì, mamma, ma io dico: se lui soffre per la gente che si lamenta sempre di giorno, e poi di notte non vede i suoi amichetti e sta solo...io questo non lo capisco!"
"Un trenino è solo un trenino"
"No, un trenino è importante perché è un viaggiatore, è uno che conosce il mondo brutto ed è per questo che poi si ferma alla stazione, perché ha bisogno d'affetto, di entrare nel suo magico mondo, dove c'è l'amore e sono tutti belli"
La madre era sempre più spiazzata e gli disse: "bimbo ha troppa fantasia. Quello che dici tu è un mondo di fantasia..."
"No, mamma, non fare pure tu la bugiarda come la maestra!"
"No, non ti preoccupare, che mi devi dire?"
"Volevo dire", disse lentamente, ceracando le parole, " non è un mondo di fantasia, mamma" e si andava infervorando sempre più: "io quando mi sveglio ho le lacrime agli occhi e sono vere come la sensazione di buio al mattino, e fuori c'è il sole... oppure rido e ancora sono caldo degli abbracci che Herr e Frau mi danno... E sento le loro parole. Mi dicono: <<Ti insegneremo a essere come noi>>, perché loro sono giganti, sai? Loro sono pure grandi come voi, mamma e papà, ma voi in confronto siete piccoli come bambini". E si mise quasi a sghignazzare per quanto lo divertiva questo paragone. Poi però disse: "Mamma, scusa"
Lei era quasi ammutolita, però gli chiese con un soffio di voce: "E come sono questi Herr e Frau? Sono simpatici?"
Il bambino era entusiasta della domanda e si mise ad andare lontano con lo sguardo. Sembrava che tirasse fuori dalla sua miniera sapori, colori, stelle filanti, abbracci, compleanni, fiducia, splendore...
"Sì, mamma, loro sono meravigliosi: Herr ha la barba lunga e bianca, ma fino a terra! E a volte io mi metto seduto sulla barba che striscia per terra e mi faccio portare, come su un tappeto volante... che bello! Perché, sai qual è la cosa più bella di tutte? lui va forte e io non cado perché con loro non succedono mai cose brutte. Se io sbando e sto per cadere lui subito mi afferra con una carezza. Lui mi vuole bene. E anche Frau".
"La mamma, confusa, disse: "E com'è Frau?"
"Gigante anche lei. E' bella, con gli occhi dolci, ha delle ciglia così lunghe che quando sento caldo lei le sbatte e c'è un bellissimo fresco. Perché loro sono diventati giganti perché hanno avuto un papà e una mamma giganti, e loro mi dicono sempre che mi danno baci e mi amano così divento un gigante come loro... Ma t'immagini! Stupendo! io un gigante! E poi faccio diventare così anche voi, che siete piccoletti, anche voi sarete dei giganti. Promesso!"
E così dicendo si baciò le dita con l'altra mano sul cuore.
La mamma rise, ma non l'abbracciò: "Il mio piccolo eroe. Vado a preparare il pranzo, Facito"
"Ma, mamma, lo sai che questi giganti non mangiano, si nutrono delle cose che leggono e dell'amore..."
"Sì, ma noi umani dobbiamo mangiare..."

Già il bambino pregustava la notte che era vicina quanto il suo desiderio di quel regno, tanto più reale per lui quanto più forte era la delusione del giorno.
La mamma gli diede la buona notte. E lui le disse: "Io spero che un giorno conoscerai anche tu Herr, Frau e tutti gli altri. Sono tanti, mamma!"
La mamma spense la luce, e si sentì come spegner il cuore. Com'era lontano il suo bimbo dalla vita di ogni giorno! Non riusciva neanche a fare i compiti, non si vestiva da solo, prima di alzarsi, al mattino, indugiava un bel po', con gli occhi ancora chiusi, ma sveglio. Ma forse era lei a essere lontana dalla vita e non lui. Lui un giorno, magari da artista, avrebbe fatto ritorno al mondo portando in dono il suo mondo personale. Avrebbe fatto il più largo e meraviglioso viaggio per poi portare dei regali luccicanti di colori a chi era grigio.

"Mamma, dove hai messo il parrucchiere per matite?"
"Cosa dici?", la mamma a volte non lo capiva.
"Sì, mamma, così lo chiama Frau".
"Ah, il temperamatite, vuoi dire?"
"Brava, mamma, ma vedi che loro sono più divertenti delle persone di qui? qui infatti non sanno parlare come i miei grandi amici. Non mi piacciono le loro parole che sento nel giorno, soprattutto quando rimproverano. Herr invece non mi rimprovera mai. Mi dice che posso dire tutto perché in Mondomio tutto è buono e le cose brutte quindi non vengono neanche in mente..." Tacque un momento assorto in un pensiero per lui importantissimo, poi disse: "Mamma vorrei che tu venissi là, con me. Sono sicuro che diventeresti un gigante anche tu". I suoi occhi erano tristi. E la mamma gli accarezzò i capelli.
"Lo vedi, mamma!", esplose di gioia il bambino, "io ti parlo di loro e tu mi accarezzi, sono sicura che li hai visti anche tu. E' perché te ne ho parlato? Confessa!" E rideva felice.
"Buona notte, Facito"
"Buona notte, mamma. Ah, non chiudere la finestra, ok?"
"Cerca di dormire"
"Certo che dormo, i miei amichetti mi aspettano e anche i pulcini che devono nascere. Sono zebrati, quelli più vanitosi, con colori fosforescenti... e sono teneri... e sono anche furbi perché essendo così belli e teneri si fanno accarezzare sempre!"
"Basta", lo interruppe la mamma, "dormi, ora". E si prese il capo tra le mani e cercò di ricordare se nella sua famiglia ci fosse qualche caso strano, qualche disturbo. Poi si disse: "No, io dallo psicologo non lo porto. Gli passerà"

Il papà di Facito spesso era assente, e sia il bambino che la moglie ne risentivano.
Una mattina, Facito si svegliò e disse: "Herr e Frau si sono sposati, mamma. Erano così graziosi: lui le ha detto: <<ti starò vicino sempre>>, e ha legato la sua barba al collo di lei, come una sciarpa. Avresti dovuto vederli, mamma!"
La mamma sorrideva, ma il bambino si accorse che quella era una contrazione dei muscoli facciali, e basta.
Invece la mamma era molto preoccupata, ma non sapeva essere diversa.
"E' meglio che stiano uniti, perché poi il piccolo che nascerà potrà fare il coro con loro".
"Il coro?", la signora non capiva.
"Sì, certo, il coro. Quando un bambino è piccino la mamma e il papà cantano con lui. E lui impara che la musica è la cosa più bella del mondo perché puoi parlare del mondo in un modo... buono... e se lo fai in coro a chi ti vuole bene... ti unisci a loro. Io", e qui si rabbuiò un po', "io non ho mai cantato insieme a nessuno, però la musica è sempre nelle mie orecchie, forse perché voglio cantarla un giorno a qualcuno, e lui poi mi amerà"
"Sì, bimbo, sì", la mamma era commossa, ma allo stesso tempo non riusciva a capire se fosse un bene o un male avere un bambino già adulto nelle sue discussioni. Certo era innaturale. Le faceva paura.

Segretamente dal marito, che la pensava come lei riguardo la psicologia, andò da un suo vecchio amico che aveva lo studio vicino casa della signora.
La donna si sentiva priva di forze. Bussò lievemente, come a bussare fosse la sua paura.
"Prego, avanti", una voce sicura rassicurò la mamma che entrò e prese posto.
I due si guardarono sorridendosi, poi si dissero qualche frase di circostanza, ma poi tre parole caddero come un macigno sopra di loro: "il mio bambino!"
"Calma, non gridare così", disse l'amico.
"Come faccio a non gridare: mio filio è... mio figlio è... anormale"
Gli raccontò nei minimi dettagli tutto. E alla fine il medico disse soltanto: "ci vuole più amore"

Con questa frase, ed era una frase che le piangeva dentro al cuore, ritornò a casa. Il bambino la aspettava insieme al papà davanti alla finestra.
"Scusatemi", fu tutto quello che riuscì a dire lei. Poi lo ripeté, pregna di dolore: "scusatemi"
"Perché la mamma dice sempre 'scusatemi'?"
"Forse", disse il papà, cercando di essere credibile, "forse è perché è in ritardo e noi l'aspettavamo. Guarda l'orologio!"
Tutti e tre contemporaneamente guardarono l'orologio, come in un incanto. Poi il bimbo disse: "lo sai, papà, che nel Mondomio quando tu chiedi che ore sono, tutti rispondono: <<l'ora di abbracciarsi>>. E se dici: <<scusa il ritardo>>, loro dicono: <<allora abbracciami più forte>>.
"Ah, sì?" Il papà e la mamma si asciugavano le lacrime, facendo il possibile per sembrare disinvolti. Eppure, per la prima volta, quelle lacrime a lungo trattenute, ora erano quasi delle lacrime felici. E solo delle lacrime felici possono fare dei bambini felici.
Ma com'è che ora mi abbracciate? Avete parlato coi giganti?", chiese Facito.
"In un certo senso sì", disse la madre.
"Continuate ad abbracciarmi, così diventiamo tutti altissimi!"
Quasi non si volevano più lasciare.
Poi Facito disse con forza: "anche il trenino va nel Mondomio, io lo so... però secondo me tutta l'energia per correre gliela mettono le persone buone, anche di giorno. Perché se no, lui vive soltanto quando è fermo, invece, oltre alle grida ci sono gli innamorati che si baciano alla stazione, le mamme che salutano i loro figli. Tutte queste cose, capito?"
"Bravo, amore", disse il papà.
"Mondomio esiste quando spegni la luce, è il mondo del lettino. Ma io mi sentivo come... come ve lo spiego? mi sentivo un poco senza forza, nel mondo del giorno, come se la luce mi bruciasse gli occhi, non volevo fare i giochi dell'asilo con gli altri bambini... però ora io so che qui, nel giorno, ci sono cose che io racconto e persone che mi ascoltano. E' come se fosse ogni mattina Natale... sempre regali!!"
"Sei tu il nostro regalo", disse il papà.
"Sì, ma tu poi parti!", così si lamentava quell'angelo monello.
"Io parto come il trenino che si deve ricaricare e che poi torna. Perché senza di voi non ho più energia"
Facito cambiò discorso: "Sapete come nascono i pulcini nel mondo del lettino?"
"Come?", disse la madre divertita.
"Da un bacio. Frau dice le parole magiche: <<caro pulcino, è il mio bacio che ti chiama al mondo. Tu senti il bacio che io ti do e puoi nascere sicuro e felice e ricercherai sempre, tutta la vita, questo bacio. Se la vita non te ne darà>>"

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