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L’imitazion del vero

Romanzo

Ezio Sinigaglia
TerraRossa Edizioni

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 04/12/2020 12:00:00

 

Avevan le gemme ch’il desiderio di Mastro Landone accendevano di fanciulli e giovinetti le graziose sembianze, donde la vista gli altri suoi sensi tutti insieme subitamente infiammava.

 

Questo breve, sorprendente romanzo di Ezio Sinigaglia, si presenta come un gioco: degli specchi, del doppio, un Doppelgänger cinquecentesco, in cui tutto è il riflesso e l’opposto di tutto, ogni cosa si specchia senza vedersi nel suo simile. Innanzitutto, il protagonista, Mastro Landone, un genio nell’inventare macchine e meccanismi strabilianti in cui placidamente si riflette proprio l’autore: il Sinigaglia medesimo, capace qui di inventare un meccanismo linguistico strabiliante. Mastro Landone costruisce prodigi di legno e colla, coi materiali a disposizione della sua epoca e ne fa dei portenti assolutamente moderni, costruisce così il futuro con materiali antichi; allo stesso modo, specularmente, l’autore del libro, usando materiale moderno, conoscenze e capacità attuali, è in grado di (ri)costruire il passato e la sua lingua e, soprattutto, di farlo funzionare benissimo. Lo stesso Mastro Landone crede, coi suoi prodigi meccanici, di ingannare il giovane ed entusiasta apprendista Nerino, ma la situazione ben presto si capovolge e l’ingannatore diventa l’ingannato. Landone trae piacere dal suo gioco che unisce la meccanica a un corpo umano, così il corpo del tutto vivo di Nerino, a sua volta, trae piacere dalla parte meccanica con la quale il maestro si immedesima per agire in segreto. Ma il segreto passa di mano e si sdoppia tra apprendista e maestro, diviso e speculare, così come ben rappresentato dalla copertina del libro, perfetta nella sua emblematica semplicità. La carta da gioco diventa ecfrasi del gioco degli scambi ma anche del meccanismo che lo ingenera. Inoltre, il re di cuori della copertina ci ricorda, con Pierre Corneille, che “per quanto grandi siano i re, essi sono come siamo noi: possono ingannarsi come gli altri uomini.”

Tuttavia, il doppio non si esaurisce tra Landone e Nerino, ma entra in gioco anche Petruzzo, che già nel nome, e nella descrizione che ne verrà fatta, rappresenta un doppio opposto del giovane coprotagonista della narrazione. Il quale Petruzzo, alla fine, opererà lo scambio fatale col Nerino, infrangendo il gioco degli specchi magici dietro i quali le verità continuano a sorgere e calare.

Come dicevo il romanzo appare come un perfetto meccanismo, funzionante con scioltezza in ogni sua parte, una sorta di libro pop up meccanico: quando lo si apre si dispiega nella sua interezza, si mette in moto e compie il suo ciclo, sotto gli occhi ammirati del lettore.

Poi, volendo andare a leggere la simbologia, filtrarla e tentare di mettere in moto lo stesso meccanismo, escogitato nel Cinquecento, ai giorni nostri, basterà studiare da vicino gli ingranaggi, tirare un paio di leve, registrare le pulegge ed ecco il meraviglioso automa mettersi in moto nel nostro presente. Cosa è la nostra patria se non un paesotto del Cinquecento, dove l’omofobia era, ed è, legge, e gli atti “contronatura” esposti al pubblico ludibrio di giornali, piattaforme social e pettegolezzi da salotti televisivi. E non è forse vero che l’aspetto tanto per bene di certi giovanottoni ammirati per le loro arti e saperi, cui l’opinione pubblica (espressione infelice che almeno per Mastro Landone ancora era inesistente) attribuisce stragi di cuori nel gentil sesso ma che – forse – in privato hanno qualche bel Nerino con cui sperimentare marchingegno e divertimenti? Ma soprattutto, oltre questi, che sono forse aspetti di contorno, come non pensare ai linguaggi che si inventano, o meccanismi che si creano, per non ammettere o mostrare le proprie inclinazioni. La sfera sessuale, sia essa omo o etero, viene spesso raccontata per ellissi o traslazioni, esagerata o sminuita, proprio come se si trattasse di un paese remoto, impossibile da localizzare sulle mappe, situato lontano di secoli e con un linguaggio che dice tanto e altrettanto cela. E sempre parlando di linguaggi è anche vero che, così come ogni categoria ne crea uno proprio, anche gli omosessuali, da sempre, hanno un linguaggio ed espressioni che fungono da codice per comunicare tra loro senza essere capiti dagli altri. Sempre in tema di “comunità gay”, spesso ci sono locali con stanze celate in cui poter consumare rapporti senza vedere ed essere visti, forse senza nemmeno sapere con chi lo si sta facendo, un po’ come il meccanismo di Mastro Landone. Fatta salva una certa verità di Pulcinella per cui tutti sanno benissimo con chi stanno avendo a che fare, facendo finta di non saperlo per non guastarsi il piacere. E per non guastare il piacere di chi non vuole ammettere a se stesso la propria vera natura e nell’oscurità silenziosa di una stanza buia la può finalmente ricongiungere col suo essere. Proprio come la carta da gioco della copertina e anche come fa Nerino col bel Landone. Così osservando con attenzione gli ingranaggi di questo libro portentoso, andiamo a vedere uno spaccato molto realistico della vita attuale, il linguaggio boccaccesco e apparentemente antiquato, nasconde un racconto di convincente modernità, prodotto dei nostri tempi così apparentemente tolleranti, ma nella realtà oscurantisti in modo opprimente, la gogna paventata per chi indulge in certi piaceri a Lopezia è di fatto, oggi, la medesima, con la sola aggiunta della parola “mediatica”. Il dispositivo che permette a Landone di godere delle grazie del Nerino è semplicemente la realizzazione pratica e fisica di tanti congegni che molte persone oggi sono costrette a costruire per poter gustare le gioie dell’amore: dai linguaggi cifrati per i più, ai luoghi di incontro reali o virtuali sino all’eliminazione della parte più umana del partner per poter giungere a quella più fisica. In maniera fortemente simbolica Landone attende in uno scantinato buio (forse il leggendario armadio, “the closet”) di congiungersi con Nerino, il quale, tenendo la testa alla luce, o in prossimità del cielo, può godere del maestro preservando la sua innocenza e riuscendo anche ad autoingannarsi sulle origini del suo godimento. E contemporaneamente Landone si illude che Nerino, ignaro delle sue attenzioni, rimanga innocente e puro, accentuando così, in un crescendo di illusioni, il suo piacere. Così come ancor oggi c’è chi si sente maggiormente attratto da avventure prettamente sessuali in cui si possa illudere che il partner, occasionale o meno, partecipi pur rimanendo in qualche modo puro, o ancor meglio, con la testa nel mondo illuminato e presentabile, leggi eterosessuale.

A questo punto, di sfuggita, occhieggia tra le pagine, il barone di Charlus con la sua passione per i rudi tramvieri e macellai, i quali dovevano sì giacere con lui ma preservando la loro inarrivabile essenza di mariuoli ed eterosessuali. E da qui all’hotel Marigny, il passo è piuttosto breve. La bottega di Landone si veste delle tappezzerie e degli specchi magici che hanno ingenerato il celeberrimo lapsus della stanza 43. Il narratore vede la scena da una stanza comunicante, così come comunicano i due ambienti della bottega di Landone, e, celandosi dietro il barone di Charlus, può confessare i suoi desideri, così come il maestro finge di essere un automa che carezza le membra di Nerino, e per finire, lo scambio del numero di stanza rivela l’arcano a tutti tranne al protagonista, come Nerino scopre sin da subito il marchingegno che invece Landone ritiene perfetto. I marchingegni meccanici di Landone servivano per intrattenere i nobili di Lopezia, con giochi apparentemente semplici, dietro i quali si celava una grande abilità costruttiva e una sorprendente immaginazione per progettarli.

Nelle svelte pagine di questo bel romanzo si può trovare un intrattenimento, un modo di passare qualche ora di svago e piacere ma, osservando bene, nella narrazione si dispiegano una grande sapienza, una mente assai originale e una mano perfetta nel costruire e cesellare ognuna delle bellissima frasi che compongono il libro.

 


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