:: Pagina iniziale | Autenticati | Registrati | Tutti gli autori | Biografie | Ricerca | Altri siti ::  :: Chi siamo | Contatti ::
:: Poesia | Aforismi | Prosa/Narrativa | Pensieri | Articoli | Saggi | Eventi | Autori proposti | 4 mani  ::
:: Poesia della settimana | Recensioni | Interviste | Libri liberi [eBook] | I libri vagabondi [book crossing] ::  :: Commenti dei lettori ::
 

Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Sei nella sezione Recensioni
gli ultimi 15 titoli pubblicati in questa sezione
Pagina aperta 356 volte, esclusa la tua visita
Ultima visita il Mon Dec 8 11:14:00 UTC+0100 2025
Moderatore »
se ti autentichi puoi inserire un segnalibro in questa pagina

Estranei alla terra

Poesia

José Tolentino Mendonça
Crocetti

Recensione di Gian Piero Stefanoni
[ biografia | pagina personale | scrivi all'autore ]


[ Raccogli tutte le recensioni scritte dall'autore in una sola pagina ]

« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »




Pubblicato il 07/11/2025 12:00:00

 

Esperienza religiosa, parola poetica, nomadismo dello spirito per effetto dell’infanzia, questi sono i principali intrecci della scrittura di José Tolentino Mendonça, autore tra i più rilevanti dell’attuale scena della poesia portoghese e dal 2022 Prefetto del Dicastero vaticano della Cultura e della Educazione dopo esser stato ordinato quattro anni prima, sempre da Papa Francesco, Cardinale. Intrecci che questa bella edizione della Crocetti ha cura di presentare raccogliendo dell’autore di Madeira due sillogi particolarmente significative, La strada bianca e Teoria della frontiera. In totale una ottantina di testi in cui, nel richiamo anche agli autori di cui più ha subito la fascinazione (da Rilke, ai grandi della poesia lusitana del secolo scorso, dai mistici spagnoli del ‘500 alla Bibbia soprattutto) ciò che più viene a coglierci nella lettura è la determinata attitudine a lasciarsi sorprendere dal mistero dal buio, da disattesi cammini rispetto alla volontà e alle sue logiche. Riferendosi a proposito della “capacità negativa di Keats”, di una negatività dell’esperienza che avvicina alla mistica, ha parlato infatti di un “ritrovamento fondamentale che viene più dalla passività di quando ci lasciamo incontrare, ci lasciamo trovare da una verità più grande di quella che noi potevamo immaginare”. Quale la verità più grande, se non il ritrovamento di se stessi almeno il suo avanzamento che viene da un progressivo incontro con la non certezza? Di una fede, anche, tra la soglia e il vuoto laddove non sembra interrogarsi sulla vicinanza o meno di Dio piuttosto lasciandovisi confondere come da una forza che preme e resta accesa. Di una poesia, ancora, dichiaratamente dissidenza dall’onnipotenza del visibile, che sa obbligandola a percorrerne l’oscurità che la verità del mondo appartiene a un altro mondo; e che dunque non cerca l’inesprimibile ma lo restituisce seppure potendoci uccidere (“Gli incidenti si susseguono e ci perturbano/perché non sono semplici incidenti//forse l’oscurità completa non è mai esistita/forse nei momenti decisivi/attraverso un varco torna a noi l’ignoto”). Per questo in una scrittura che sa abbracciare l’impurezza che il mondo ripudia perché non estranea laddove la terra come noi può offrire solo quello che non possiede, non è la levità come potrebbe forse inizialmente sembrare a caratterizzarne il timbro. Ma un dialogo diremmo tra materia, nell’oscurità, come detto, del suo procedere e del suo contendere, e il punto invisibile di una trasparenza che forse non è più abbaglio. Di questo, strumento e veicolo è il corpo, nella poesia di Tolentino Mendonça veicolo e “monologo millenario sulla lotta”, capace come ha ben rivelato Alessandro Zaccuri nella prefazione nelle citazioni dai testi di leggere e ascoltare ciò che non è stato detto e scritto; di farsi nutrimento e rivelazione del tempo. “Soggetto politico per eccellenza è anche soggetto spirituale supremo secondo la dinamica dell’Incarnazione cristiana” ci ricorda ancora Zaccuri, non sorprendendo allora nei numerosi testi dedicati il richiamo alla speranza anche nell’accezione ontologica dell’assenso e del movimento: “Ogni corpo è sempre stata una speranza/e, tuttavia, la speranza/solo ai corpi appartiene”. Speranza e corpo che nella sezione “sans papiers” in Teoria della frontiera è quello dei migranti facendosi prova di liturgia o di naufragio entro un silenzio che però “nessuna tempesta può abbattere”, la crepa di luce affacciandosi sulla soglia. Silenzio che di nuovo viene naturale accostare al mistero di un Dio che trasforma interamente ferite e spazi rimandando ai più remoti confini, fin dove (nell’accezione di continua genesi) è possibile “avvistare il mare/il mare come esisteva/prima della zattera”. Non a caso allora è qui, in questa sezione, un verso altamente significativo del viaggio comune cui costantemente questa poesia rinvia, nel quale è sempre la dualità l’organo di senso nei rimandi delle domande. “Fino a che punto siamo/frammenti e fantasmi di altri corpi” scrive infatti a proposito della necessità della reciproca veglia, inciso che viene da rovesciare in nuova domanda. Perché forse è questo tra i motivi della sua poetica quello fondante, fin dove nella sola incarnazione è possibile comprendere che nel labirinto la voce e l’uscita è anche la nostra; che sì se “l’amore è una notte a cui si arriva soli” in quella corrente che si attraversa solo al buio, è nell’amore nel ritorno del mattino condiviso lo spazio dell’ascolto di ciò che non si è udito la prima volta. Così laddove a proposito del corpo e della sua materialità “tutti i testi cospirano contro (..)/per questo c’è chi crede nella sua resurrezione” è tramite la terra che “l’amore/ci rende estranei alla terra/per congiungerci a una stirpe divina”. È questa allora la continua vegetazione che cresce lungo il profilo di una eterna allegria oltre le svendite e le frane del mondo, questa la conoscenza che, se gioca a nascondersi, pure può arrivare tramite luoghi che credevamo abbandonati ma che continuano con compassione a guardarci “laddove la parola detta e la parola taciuta si toccano”, laddove “la lingua degli uomini/non può più mentire”. Bisogna avere consapevolezza di questo, gli specchi infatti non hanno dimenticato le nostre immagini, nessuna delle nostre suppliche è destinata ad andare a vuoto ci dice questa poesia che non cessa di ammonire però dalle secche della stabilità (chi pensa di sapere e di avere compiuto un cammino è fermo, ricorda in “Ecclesiaste”). Non lasciare che il vento ostruisca la porta stretta del passaggio l’esortazione, sapendo discendere nel pozzo di se là dove la pioggia potrebbe arrivare senza riparo. La sorpresa sarebbe quella di scoprire che così il Signore ha ordinato l’anima umana. A fronte di questo cui poco, o molto, si potrebbe aggiungere si invita in conclusione alla lettura coi versi di “Esercizi spirituali”: “Ci deve essere il modo di andare oltre/il piccolo fallimento/di poter fare ora una mezza dozzina di passi/ma a occhi bendati/vedere la vita schiantarsi nel governo del vuoto/rischiando invece dei soliti piccoli incidenti di percorso/la caduta senza fine”.

 


« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »