Vedo bandiere rosse
sventolare a difesa dell'art. 18
e sono, nonostante tutto,
solidale con chi sventola
quelle bandiere che io
sventolerei a fatica
perché troppo diverse
dalla bandiera nazionale,
da quella bandiera che
issai alla mia finestra
in occasione degli Europei 2000
e lasciai lì per qualche settimana
dopo la sconfitta in finale
con la Francia e tutti a dirmi:
"togli la bandiera! Abbiamo perso!".
Embè, pensavo io,
che c'è di male ad essere sconfitti?
Nel 2006, però, vincemmo.
Sempre con la Francia,
ma stavolta erano i Mondiali.
Vincemmo i Mondiali in Germania
sconfiggendo la Francia e la Germania.
Un po' come quando il Milan
vinse la Coppa dei Campioni
(io la chiamo sempre così)
battendo prima l'Inter e poi la Juventus.
Di quella finale del 2003
l'immagine che più mi colpisce
è ancora quella di Roque Junior che
s'infortuna ed essendo terminate
le sostituzioni
si piazza largo a destra a zoppicare
e zoppicando diventa
Campione d'Europa.
Vincere zoppicando è straordinario
in uno sport dove l'attenzione
è tutta per chi vince,
non anche per chi zoppica
e, pur zoppicando, corre.
Per questo amo il ciclismo,
perché nel ciclismo
anche a chi zoppica
battono le mani.
Ricordo ancora il momento
in cui m'innamorai del calcio.
Era il '99 e un tiro di Maurizio Ganz,
deviato da non ricordo chi,
si insaccava lentamente
nella porta della Sampdoria
permettendo al Milan di vincere 3 a 2
e di avviarsi a conquistare lo scudetto.
Il ciclismo, invece, l'amai più tardi,
nel 2004, quando Cunego
scattò sul Furcia,
rubando la maglia rosa a Popovich
ma soprattutto a Gibo Simoni,
maglia rosa che porterà fino a Milano.
Nessun altro campionato ha vinto Ganz,
nessun altro Giro ha vinto Cunego,
ma quel gol e quello scatto
restano immortali
come è immortale ogni amore
ed ogni sventolio di bandiere.
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