Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare.
È poesia o prosa? Naturalmente tutti avranno riconosciuto L'Infinito di Leopardi. Ho solo eliminato la struttura verticale e l'ho riscritta in orizzontale occupando tutto lo spazio consentito dalla pagina. Per me possiede ancora tutti gli elementi che ne fanno una bella poesia.
Infatti sia nella forma orizzontale che verticale conserva intatto il ritmo endecasillabico, la raffinatezza del lessico e la profondità del contenuto.
A questo punto ci si può chiedere: oltre che della rima e della forma verticale si può anche fare a meno della metrica nella scrittura di una poesia? Certamente gli elementi formali aiutano a costruire una poesia ma non la determinano. Se eliminiamo gli aspetti formali citati l'onere di supportare la poesia ricade tutto sul contenuto e sulla scelta del lessico e la sua dislocazione. Scrivere una buona poesia di questo tipo è più difficile secondo me. Ce ne accorgiamo soprattutto nelle traduzioni tra lingue diverse. In queste operazioni si perdono quasi tutti o tutti gli elementi formali e si rischia di perdere anche la poesia. Perciò il traduttore deve essere molto abile, ma l'operazione è fattibile se siamo in presenza di un'autentica poesia.
Sempre girando intorno a L’Infinito, alla ricerca del misterioso “invariante poetico”, Santo Graal dei poeti, ne ho fatto una versione nel mio stile che suona così:
Ho sempre amato questo colle
solitario e questa siepe
che allo sguardo impedisce
di spaziare sul più lontano orizzonte
Ma qui seduto ad osservare
al di là di essa immaginavo
spazi sterminati
silenzi sovrumani
un’assoluta quiete
che per poco il cuore m’atterriva
E comparavo lo stormire
del vento tra le piante
con quell’infinito silenzio
E pensavo all’eternità
alle morte stagioni
al suono vivo della presente
E in questa immensità
il mio pensiero si perdeva
dolcemente naufragando
in questo mare
Naturalmente è un’operazione un po’ artificiosa in quanto è difficile sfuggire alle suggestioni dell’originale. Certamente l’originale è più bella ma neanche la mia versione è poi tanto male. Dove risiede dunque la forza ultima di questa poesia? Fondamentali sono le descrizioni suggestive e l’assoluta autenticità, la sincerità dei sentimenti, delle emozioni, e il fatto che essi si riferiscono alle eterne problematiche dell’esistenza umana. Il Poeta, nell'originale, non adotta alcun artificio particolare, che spesso rende oscuro e confonde il senso anziché migliorarlo, solo la rende più musicale, orecchiabile, facilitando con ciò la comunicazione, con la scelta della metrica endecasillabica. Indi la impreziosisce, la abbellisce, con vocaboli precisi, ricercati, e un’accurata dislocazione degli stessi.
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