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L’Autobus Formidabile

di Valentina Grazia Harè
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Pubblicato il 20/04/2014 21:07:49


Si vociferava in giro che per la città viaggiasse un Autobus Formidabile dove sperimentare la conoscenza di se stessi.
Io li conoscevo tutti, gli autobus, e li amavo perché non disdegnavano mai di farmi brillare capelli e pensieri al sole.
Mi incuriosì questo fatto di un autobus così... allora mi informai con un passante: "Scusi, signore, ne sa mica nulla dell'Autobus Formidabile?"
Quello ebbe un attimo di piena trascendenza. Seguì un pensiero che era una passione. Poi mi aprì il sorriso, e uscirono le tanto attese parole: "scusi, se non ho risposto subito... ma, sa, chi ci ha viaggiato su, come me, ha tutto il fiato tolto dall'esperienza fatta".
"Cosa ha questo autobus di così particolare?", domandai al signore che aveva ancora il fantastico viaggio così dolce negli occhi.
Quello tentennò allegramente e disse: "ha presente gli altri autobus? sì, ecco, può capitare che facciano degli incidenti... o che potenzialmente potrebbero farne..."
Io ascoltavo, ma non potevo dire di aver afferrato...
Quello proseguì, e fu la cosa migliore: "questo certo Autobus Formidabile non solo non fa incidenti, ma fa controincidenti".
"Non ne fa?"
Quello si spazientì un po', ma poi, con un entusiasmo alato, disse: "non solo non ne fa... ma fa proprio il contrario: fa delle occasioni di consapevolezza, sulla strada degli incidenti percorsa da altri autobus".
"Formidabile!", dissi io.
E lui mi rispose: "Questo dicono tutti quelli che lo aspettano... aprono l'anima al formidabile! e poi niente ti può far male, la vita diventa...incantevole e non ci saranno più temporali, dopo!!"
"E che si deve fare per prenderlo? e come lo si può riconoscere?"
L'anziano signore disse: "E' facile, deve soltanto entusiasmarsi molto... a lei cosa piace tantissimo?
“A me scrivere piace un mondo!!”
“Lo sospettavo. Ha gli occhi che sembrano aver visto cose lontane…
Allora deve chiudere gli occhi e sognare, sognare, sognare tanto!"
"Ma se è così, con gli occhi chiusi non lo vedo, lo perdo".
L'uomo disse: "no, è lui che ti aspira... e io sono felice che sia così.. ah, non dimenticare che per decidere la posizione sull'autobus devi metterti il cappello più verso destra. Almeno se sei come me... noi artisti abbiamo tutti il cappello pendente verso destra… "
Lo guardai mentre danzava a tratti, quando mi giravo, credendosi non visto.
"Se io sono come lei in che senso?"
Quello disse: "se anche lei preferisce mettersi il cappello verso destra, simbolo che va in viaggio verso le Isole di Capacità... e così compensiamo i mancati appuntamenti con l'ospite sinistro. Questo caro assurdo ospite è pigro e dà da lavorare al suo dirimpettaio... così questo, stanco e offeso, fugge verso le Isole di Capacità. E io ne approfitto per fare dei viaggetti niente male..."
"Credo di capire", gli dissi, "ma che c'entra questo con l'Autobus Formidabile?"
Lui mi disse soltanto: “Eh, caro mio, se poi vorrà scrivere una memoria di questo viaggio, non potrà farlo se non essendo guidato da queste Isolette di Capacità… esse guideranno il suo viaggio…”
E mi resi conto che stavo già narrando a me stesso il mio itinerario, già alla fermata stessa, quindi ero già guidato dall’ispirazione..
Ma la risposta intera me la diede lo stesso mezzo che, mentre il vento mi faceva pendere il cappello verso destra, mi aspirò dentro.
Non appena catapultato dentro l'autobus, lo spettacolo che mi si offrì mi sconvolse: c'era un controllore chiamato Tertulliano che mi si fece vicino e mi disse: "Tu dove vuoi stare?"
"Mah, dove capita.. non so..."
Disse a un collega: "Mandalo davanti, questo è uno che si conosce poco..."
Mi scivolò il cappello e mi sentii smarrito… ma c’era da imparare.
Tertulliano disse: "anni e anni di civiltà solo per essere capaci di secessione... Sono disgustato. Avessero almeno imparato a dialogare. Ma dicono che non hanno tempo l’uno per l’altro! Quando si domanda loro perché non stiano insieme… rispondono: abbiamo tempi diversi di risposta, e poi non siamo mica coniugati”
Cominciai a familiarizzare con l'intorno. La gente mi guardava curiosa, ma io risposi solo una piccola grande incredulità. Viaggiavo avanti e indietro sull'autobus: dietro si mangiava e ci si amava con una certa lascivia. Le donne sembravano dei ragazzacci volgari, mentre man mano che andavo verso il conducente, le parole diventavano sofisticate e le vesti sobrie ed eleganti.
La memoria diventava sempre più debole via via che si andava alla testa dell'autobus. Infatti le signore che stavano avanti erano le più multate perché dimenticavano di fare il biglietto e stavano tutte ferme ai loro posti attente a non mischiarsi con le altre persone. Ogni volta che c'era una frenata per loro era un trauma. Infatti significava essere invasi da corpi o invaderne a loro volta...
Tertulliano mi chiese: “Biglietto, prego!”
Io gli risposi: “è che non ho visto dov’è la macchinetta”.
Il controllore disse con un certo disappunto: “la macchinetta è avanti, per avere il diritto di stare su quest’autobus bisogna andare avanti!”
Infatti era lì che tutti chiedevano scusa e dicevano: “gentilmente, cortesemente, se è possibile…”
Mentre noi che stavamo in mezzo all’autobus eravamo pigiati e scalciavamo con parolacce che si facevano calci, e avevamo solo una spinta animale ad andare avanti.
La calca partiva dal fondo dell’autobus dove molti si perdevano a palpeggiare invitanti paesaggi dai contorni arrotondati come se l’agente atmosferico della loro fantasia li avesse smussati e adattati alle loro mani e ai loro desideri prensili.
Ogni volta che l’autobus sbandava, la gente, dietro, sbatteva contro i sedili e i poggia- mano, messi in alternativa ai fianchi delle donne; per questa popolazione un po’ primitiva, anche i sedili avevano un’anima, quindi si poteva scegliere a chi dare la colpa se sbattevano contro signore o cose: in tutti e due casi i rozzi erano felici.
Vedevo un signore che prendeva a botte un sedile e gli chiesi: “ma scusi, cosa fa?”
E quello: “C’era seduta mia moglie, lei è cattiva, quindi il sedile è complice!”
Io restai paralizzato, poi gli dissi: “Ma si segga, su, non faccia così, non crede di essere un po’ proiettivo e animista?”
Ma egli non capiva bene le mie parole, disse: “lei mi guarda male, come tutti, e poi se le dice a me, queste cose, deve dirle a tutti, qui. Non vede che siamo tutti così ammassati gli uni sugli altri e indistinti?”
L’omone indicò ciò che prima non avevo notato: una montagna di persone ammassata dietro di lui e pronta a vedersela con me. Non potei rifiutarmi di dare ragione al signore e lo chiamai: Carissimo.
Era un discorso senza luce, il mio, che un muro di corpi oscurava. Mi diressi, con fatica, avanti.
La gente si andava diradando, lì. Respirai sollievo, anzi, soltanto: respirai. In fondo l’aria era irrespirabile, parlava di sudore e le parole sudavano prima di uscire. C’erano solo immagini di gente desiderosa e devastata. Che non sapeva contare, era un’unica massa informe, ma ognuno un numero indefinito e tante cose per amanti.
Ristorata andai vicino al conducente, dove la temperatura era freddina e ognuno leggeva o ascoltava musica, misuratamente avulso dal mondo circostante.
Si sentiva solo il rumore di pagine girate e le scuse dette in modo magistrale al controllore sul mancato biglietto.
Erano così brave a inventare discorsi, facevano disquisizioni sull’essenza dell’assenza, su quante mancanze nel mondo di oggi ci sono: dalla sterilità, alla solitudine della vita, all’esistenza o no di Dio.
Il controllore, Tertulliano, si accalorava a discutere con loro, ma la sua setta di Bigliettai Estremisti & Stremati non ce la fece più a imporre le sue condizioni fiscali, si mise a raccontare di quando anche loro viaggiavano per passione e si crogiolavano al sole ed erano tutt’uno col sorriso...
Una donna disse: “Eravamo felici e stavamo sempre in fondo all’autobus… era una grassoccia voglia di vivere, quella prima di diventare estremisti!”
Poi Tertulliano si rivolse al suo collega e gli disse: “Bene, Socrate, scrivi tu la multa per quella ragazza lì!”
E quello rispose: “No, io non scrivo!”
“Il solito”, disse Tertulliano, “si rifiuta sempre di scrivere…”
Io feci: “Ma si sa che Socrate non ama scrivere, perché non diciamo di fare la multa all’altro controllore, come si chiama… a Platone?”
Platone, sentendosi chiamato, rispose: “Quel che è stato è stato! Ciò che è Stato è la cosa più preziosa per me…”
“Ma”, obiettai io, “è stato che la ragazza non ha fatto il biglietto… e ora… sarà la multa, è logico…”
“Senti, ragazzino”, mi disse spazientito, “non venire a dire a me ciò che è logico o non lo è, potremmo discuterne fino a domattina, se vuoi, per me non è un problema… sono dialetticamente imbattibile, e quando dico che ciò che è stato è stato, nessuno può superarmi…”
La ragazza si aggiustò capelli e borsa, evidentemente soddisfatta di non dover pagare la multa… anche la storia era dalla sua parte e doveva ringraziare col pensiero il pensiero dei filosofi e con lo stato d’animo lo stato utopico di cui si trattava”.
Mi diedi a un altro po’ di osservazioni dell’Autobus Formidabile…
Così imparai che la popolazione in fondo tendeva a spingere per andare avanti e quando li si intervistava, dicevano: “Come perché andiamo avanti? Siamo in evoluzione psichica, anche se parte del nostro gruppo ci chiama a sederci di nuovo dietro. Ma noi fingiamo di non ascoltarli…”
E così l’Autobus Formidabile andava avanti, beandosi al sole della civiltà, nonostante il richiamo di quella gentaglia palpeggiante, bestemmiante e sguaiata. E quando si chiedeva a quelli avanti perché non andassero d’accordo con quelli dietro, questi ripetevano, per una memoria che era più di parole che altro: “Abbiamo tempi diversi… Non siamo mica coniugati!”
E, sceso dall’autobus, mi sentii formidabile per aver visto un assaggio della storia dell’umanità




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