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Disegnavo un piccolo capanno

di Amina Narimi
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Pubblicato il 14/02/2014 00:24:42

Disegnavo un piccolo capanno

ogni sera un po’ più grande

finchè un giorno mi notasti, domandandomi per cosa

avevo tanta cura, se all’interno stava il vuoto

 

-Ho visto un cavallo libero nei prati

in cima a Montevenere,

non posso chiuderlo se non sa chi sono,

che gli voglio bene per come brilla al sole,

ma nel capanno c’è il pastone e la paglia fresca

Forse un giorno, se l’aspetto.. se gli aggiungo delle cose...-

 

Mia madre si commosse, e  come premio degli esami in terza media

riempì il capanno con Zahir, il primo nel disegno.

 

C’è tanto amore in questo andare indietro

a cogliere la bellezza cieca

da proiettare nell’invisibile presente

in ogni sillaba si alza ancora la Tua voce

di Maestro, e tu Blanchot dicevi della poesia:

che nasce nel movimento

in cui Orfeo perde Euridice.  Nel distacco

è l’infinito andare della scia d’argento

o quando la gioia di vivere non basta e scrivi

 

Con la lingua degli angeli 

mi hai insegnato a morire

per tornare nella mastella di lino con le braccia

girando  nell’acqua tiepida  la crusca

coi germogli di soia,  a rimanere,

quando in mezzo alle gambe stringevo altre zampe

ferrando i cavalli , come allacciare le scarpe

a un bambino. vedendo l’intoccabile:

l’anguilla che fa morire, dentro la pancia dei cavalli,

premendo  il viso, e curare il respiro, se cattivo ,

cercando le sanguisuga, tra l’acqua più chiara,

da mettere al collo per vivere. Per poche ore

è così che Zahir  ritrovava il suo galoppo

col salasso più antico. Pitturavi nell’aria quel salto

volando  sui fianchi a Soraya, tirandola appena

verso di te. Mi guidavi come danzare

sopra la cima di  Montevenere, dal primoamore,

passando per Le Croci e sotto l’abetaia di Rossara

sdraiando le nostre schiene, come fossimo sull’acqua,

a ginocchia strette, con la passione di affidarsi,

entravamo nei boschi acquattati come bestie,

negli occhi delle mucche e poi giù, giù col baio chiaro,

con il fulvo sulla pelle umida del corpo

parlandoci senza bocca, col sudore morbido ai polpacci

e il suono dell’orgasmo tra le dita e le redini sottili,  

accogliendo nella pancia la discesa,

l’alfabeto baciato degli zoccoli.

 

c’è un punto esatto- mi segnavi-  tra le orecchie

dei cavalli , piccoli movimenti impercettibili

che congiungono le punte dritte nella luce

formando un otto, solo lì, è dove ti alzi in verticale

 e voli via leggero, risparmiando le salite

 

All’inizio dell’autunno mi hai bendato gli occhi

con una lana a fiori che pungeva

per dirti gli anni dei cavalli o dei dolori

con le mani carezzavo il naso, quei gradini come rughe

che vengono nel tempo, affondavo piano con le dita

sotto gli occhi, nei fossetti; passando poi tra i tendini

e i nodelli, imparavo  le fatiche, e le fessure prima della coda,

per la fame, immaginando la magrezza, dei cavalli nuovi

infine… mi chiedevi la prova che stordiva : del colore

strofinando il pelo, se aveva delle macchie, se grigio o come:

sapevo dalle setole i colori, dallo spessore, e la temperatura

svelava sopra i polsi con dolcezza

se le femmine avevano il calore. Era tutto come amare.

 

Se stringo forte gli occhi  sono al centro del cortile

ancora oggi mentre tu  mi vieni incontro

tenendo un cavallo per la corda poi due e tre

per scoprire il suono che marca  dentro il passo

tra di loro dove la zoppia, di chi, su quale fianco,

avanti o dietro. Alla fine dell’inverno

cavalcavo come cieca nel tondino

ed ero dentro  gli animali e dentro il bosco

quando tremavano col  manto a una pozzanghera,

o tendevano la schiena a un ramo basso.

Annusavo  il buio dei ragazzini ciechi,

che sarebbero arrivati  a primavera,

per vedere con gli occhi dei cavalli

la bellezza

fino  in fondo alla luce dell’estate

 

Sei stato dell'invisibile Maestro,

chi ha fatto i segni sulla strada  

per affidarsi al buio,

per tornare al  Vuoto del capanno

con il suono di ogni albero,

quando si piega,

indicandoti la via.


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