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Il bianco roditore

di Glauco Ballantini
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Pubblicato il 25/11/2014 08:52:22

Non era stata piena di sorprese, fino a quel momento, la vita di Nino. Figlio di una benestante famiglia dell’entroterra toscano, con terreni e proprietà immobiliari, che per emanciparsi dal suo essere figlio unico, si era trasferito in città, dopo aver vinto un concorso in una banca locale.

Avrebbe avuto, col tempo, la possibilità di avvicinarsi di nuovo al paese natale, ma non ne aveva fatto di nulla. D’altra parte la scelta di allontanarsi da casa non avrebbe avuto senso se alla prima occasione se ne fosse tornato al paese.

 

Per cosa? Voleva vivere in città, non al paesello, dove tornava spesso il fine settimana dai suoi.

Certo che poteva andare anche meglio la sua avventura, perché non aveva legato molto né con i colleghi e neanche fuori.

Si godeva la sua libertà che era però anche il suo limite. La sua misoginia aveva fatto il resto

 

La sola compagnia che sopportava era quella di un criceto bianco.

Bianco, sì. Perché erano stati sempre bianchi, per lui i criceti, per distinguerli meglio dai volgari topi, dai tarponi, di colore dal marrone al grigio scuro. Il colore era essenziale per allontanarli dalla loro famiglia di origine e renderli più accettabili.

E lui li aveva sempre avuti. Morto uno ne comprava un altro uguale, da tenere nel suo open space attrezzatissimo, dove si ritirava dopo il lavoro. Il nome per tutti lo stesso: Gigio.

 

Chissà cosa lo affascinava di quei piccoli animali e della loro vita, confinata nelle piccole gabbie. Costretti a mangiare solo semi di girasole da stivarsi nelle gote per nasconderli, per istinto, sotto un pezzo di stoffa in un angolo, oppure impegnati nell’attività frenetica di correre sulla ruota fissata alla gabbia: il loro minuscolo angolo di libertà condizionata, non rendendosi conto dell’imbroglio.

 

“Povero, Gigio”- disse un giorno Nino - “Mi dispiace vederti così illuso nel tuo correre, vorrei spiegarti!”

“Se almeno ci fosse un modo…”

 

Il piccolo animale allora, improvvisamente, gli rispose:

“Io ti capisco, Nino, e so anche perché mi tieni in questa gabbietta angusta.”

“Hai bisogno di vedere qualcuno in una condizione peggiore della tua, ma non siamo diversi.”

“Anche la tua è una gabbia, solo più grande; la TV e il computer sono i tuoi semi di girasole, la cyclette e il tapis roulant, la tua ruota.”

 

“La differenza che c’è tra noi è che nella mia gabbia mi ci hai messo tu, nella tua ti sei messo da solo, povero Nino!”

 

Non parlò più, Gigio, dopo quella volta, e neanche Nino di quell’episodio, perché lo avrebbero preso anche per matto.


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