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Il Civettino

di Giovanni Giudici 

Proposta di Maurizio Soldini »

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Pubblicato il 03/09/2014 18:37:08

 

 
GIOVANNI GIUDICI

IL CIVETTINO

Non porta male una che sbatacchiando
le ali precipita in casa
dalla finestra di cucina un giorno,
alberi erano intorno, d'estate o di primavera.

Altre uhù con paura correndo le scale di sera
lugubri appunto, uhù reiterando, ne avevo
sentite al toccar la ringhiera
sul mancorrente di legno che un giorno di funerale
la cassa ci posarono - ragazzi
uhù come pesa - sbuffando.

Ma cosa c'entra con i morti una che sbatacchiando
di primo volo anagrafica esistenziale
batuffolo grigio biondo nell'angolo del fornello
si posa?

             Uccello

ancora prima che civetta - anche se nulla
aveva in sé della fragilità
di quelli, tranne il cuore che batteva, che chiamano
lievi alate creature: era una piccola
civetta sbalestrata di più nemmeno che un passero,
tranne l'occhio grifagno istupidito però
alla luce del bel mattino, artigliosa
ragazza della sua razza,
tutt'altro che gentile, dispettosetta
anzi, dall'aria di chi la mette giù dura.

Restò pochi giorni, prima dentro una gabbia
(povera bestia - subito diciamo
in Italia) e poi dunque legata una zampa
a una gamba del tavolo, sfamata
quel tanto da non morire.
Ma non nostra la colpa, fu lei che non seppe gradire
la dieta familiare, voleva carne soltanto.
E quando l’ebbe lieta significò
raggiante disneyana la sua letizia agitando.

Per questo essenzialmente non durò
la piccola civetta di cui spiavamo l'umore:
stamattina più calma, questa notte raspava,
come sta la civetta che nella casa abitava?

Con proditorio rimpianto
altrove fu collocata: da uno di quegli strani
uomini, veramente la chiese per la caccia, 
ma che mangiano gatti sono ghiotti
di rane di cavallette vivisezionano cani
divorano pesci rossi uccelletti
                                               compendi e tutto…
Partì insieme a uno di quegli
impermalita voltandosi a differenza di altri
miei animali di casa: un’anatrella azzoppata, 
una cagnetta bastarda, un passero che volò via,
un gatto nero - e il setter, naturalmente
- tutto sommato fregati con belle maniere,
spariti più docilmente.

Da Giovanni Giudici, da Autobiologia, in Tutte le poesie, Oscar Mondadori, 2014, pagina 138 – 139.

Propongo questa poesia anche per un ricordo personale ripescato nelle brume della memoria dell'infanzia. Avrò avuto 4 o 5 anni. Era estate e prima di andare a dormire mia madre lasciò la finestra della cucina aperta. Avevo appena riposto nella sua vasca tonda sul frigorifero il pesciolino rosso comprato ad una festa, forse proprio a quella dell'Assunta organizzata da don Parisio in via Isole Curzolane al Tufello. E andai a dormire con la smania dell'indomani per ritrovarmi col mio pesciolino. Al risveglio la sorpresa: il pesciolino non c'era più nella vaschetta di vetro. Ricordo che mia madre allora raccontava che aveva sentito dire che qualcosa di analogo era successo nel palazzo davanti al nostro a casa di Gino Giudici e lo aveva sentito direttamente da Clotilde Giudici ed era molto probabile che quanto era successo era da attribuire a una civetta...
Maurizio Soldini
foto di Maurizio Soldini.
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