(monologo interiore. L’autocoscienza)
La Ceres non era una birra qualunque. Era il limite esatto della mia onnipotenza da giovane scapestrato convinto di saperla lunga. Un confine traballante tra il “posso fare tutto” e il “non capisco un cazzo della mia vita”. Ancora oggi ho dei forti dubbi su cosa ho capito e no!
In quelle notti senza pubblico e senza luna, col vetro scuro infilato tra le gambe mentre guidavo verso un esilio scelto con la stessa lucidità con cui si sceglie di farsi del male, tipo “ guidare a fari spenti nella notte per vedere se è così facile morire”, la bottiglia diventava la mia compagna più onesta. Perchè di onesto là fuori non c’era nulla. Rifletteva una faccia che non avevo il coraggio di guardare direttamente. Io ero il mio unico testimone, seduto al volante come un disertore che non trova una guerra migliore da combattere.
Il freddo della bottiglia durava più di quanto avrei voluto. Tracciavo confini invisibili fra il suo aspro alcolico e il grigio dell’alba che arrivava sempre come un cazzo di fallimento, ricordandomi che nessuna fuga è mai vera, perché ti porti dietro le ossa, i debiti e le rovine e quel sangue che ancora, nonostante tutto ti scorre dentro.
Una notte, la lingua ferita dai troppi pensieri vomitati male, mi rivelò il dolore di aver lasciato le mie radici marcire nelle stanze dove ero cresciuto. Stanze diventate caverne. Echi di una famiglia che si sgretolava in silenzio. Aspettavo un arcobaleno che non esisteva, un’illusione sentimentale, un emozione e intanto l’unica luce reale era quella che filtrava tra un sorso veloce e una camel tirata come se dovesse salvarmi dal mondo.
Ero innamorato, sì. Ma più del mio bisogno di scappare che di quella pelle che mi cercava. Più della mia ferita che della donna. Scambiavo la fuga per salvezza, la solitudine per libertà, la crepa per identità. Ogni notte buttavo fuori un pezzo di me, come se potessi svuotarmi fino a diventare innocuo.
Ricordo ogni Ceres che ho bevuto. Ogni amaro che mi ha lasciato in bocca. Era libertà, certo. Ma era anche una solitudine che non avevo il coraggio di chiamare col suo nome.
2022
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