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Lorenzo

di Emanuele Di Marco
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Pubblicato il 15/10/2015 17:57:08

Lorenzo non fa sport.
Lorenzo non fa mai sport, neppure la domenica e men che meno d’estate quando un po’ tutti ci sentiamo più atletici.
Non crede nei benefici del fitness, non è un fissato della palestra, non è un amante delle piscine.
Mentre i suoi coetanei, Lorenzo ha 15 anni, cominciano a mostrarsi l’un l’altro i muscoli affioranti sotto le magliette attillate ed inscenano confronti degni di giovani galletti di fronte alle galline, Lorenzo si può dire che di muscoli non ne abbia proprio: il suo torace è piatto, le sue braccia stecchite, le sue gambe incapaci di sostenere il peso del corpo.
Forse avrei dovuto dirlo fin dall’inizio, ma occorre precisare che Lorenzo non è che non faccia sport per mancanza di voglia, di volontà o di iniziativa: semplicemente non lo fa perché non può, perché è affetto da un gravissimo handicap psico-fisico (non so precisamente di cosa si tratti, io sono un semplice obiettore di coscienza, non un medico) che lo costringe da quando è nato su di una speciale sedia a rotelle.
Lorenzo è il mio preferito fra i ragazzi ospitati dall’Istituto “Leonardo Torelli”; non che non voglia un gran bene a tutti gli altri, ma Lorenzo è così incredibilmente solo, piccolo, indifeso che la sua semplice presenza ha sgretolato in un attimo tutti i miei falsi orgogli, i miei “complessi di superiorità”, le mie piccole e grandi vanità, lasciando spazio semplicemente ad una tenerezza incondizionata.
Mi piace abbracciarlo e sentirlo ricambiare il mio affetto con una stretta forte, impensabile per quelle braccine sottili, impressa dietro la mia nuca per avvicinare il mio viso al suo; o, ancora, amo tenerlo un po’ in braccio (come pesa poco!), alzandolo dalla sua terribile, necessaria carrozzina per fargli fare un po’ di “cavalluccio” sulle mie ginocchia.
Ma, scusate, mi interrompo un attimo: infatti mi accorgo adesso che dal salone dell’istituto, Lorenzo mi sta chiamando con i suoi soliti urletti (dimenticavo: Lorenzo non può parlare).
Ma non solo lui mi chiama: ci sono anche Cristian, Walter, Caterina, Massimo, Carlo, Carletta e tanti, tantissimi altri.
Pochi sono quelli che sanno parlare, ma tutti sanno comunicare benissimo, tant’è vero che mi hanno già spiegato un mucchio di cose: soprattutto che anche loro che non possono esprimersi a parole, non possono muoversi dalle carrozzine, non possono neppure mangiare senza essere aiutati, non si trovano certo qui fra noi per uno sbaglio, per un errore genetico, per uno scherzo della natura; o magari per far sentire noi più fortunati dinanzi alla loro disgrazia e più buoni per il semplice fatto di star loro vicino per qualche ora al giorno o alla settimana. Il motivo è ben più preciso. Infatti in questi otto mesi di servizio civile ho capito che non è esatto dire che Lorenzo non faccia nessuno sport: Lorenzo è corso incontro alla mia anima più riposta, ha saltato le barriere del mio egoismo, si è arrampicato sulle pareti della mia indifferenza e ha dato un calcio, col solo suo esserci, a tutte le certezze che mi ero costruito in tanti anni di stupida “normalità”.
E ha fatto goal nel mio cuore.
Prendere di petto i “normali” e farli diventare “umani”, questo, proprio questo è lo sport praticato da Lorenzo e da tutti i suoi amici, i miei amici, del “Leonardo Torelli”.


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