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Adam’s Passion di Arvo Part a Roma

Argomento: Musica

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 07/04/2023 15:27:06


Roma, Adam’s Passion, 01/04/2023
“Peccato originale” di Stefano Ceccarelli in collaborazione con L’ape Musicale -
Rivista di musica arti e cultura – www.apemusicale.it
06 Aprile 2023

Quinta opera in cartellone, “Adam’s Passion” di Arvo Pärt testimonia l’encomiabile impegno del Teatro dell’Opera di Roma nel presentare al pubblico musica contemporanea. In questo caso, anzi, l’edificio della Nuvola si presta ad ospitare la prima italiana dell’ultimo sforzo del compositore estone, opera che nasce come una collaborazione con il regista Robert Wilson. Frutto di una recente, spiccata sensibilità della direzione artistica del Costanzi verso il panorama operistico contemporaneo, la prima rappresentazione italiana di “Adam’s Passion” di Pärt si staglia come una delle novità più interessanti cui il pubblico romano abbia occasione di assistere. Concepita come un collage di pezzi quasi tutti nati per differenti contesti, la partitura di Adam’s Passion è una sorta di summa, innanzitutto spirituale, della musica di Pärt. L’opera narra della cacciata di Adamo dall’Eden, del suo tradimento verso Dio, e riflette l’adesione alla chiesa ortodossa del compositore, la cui conversione si situa nell’ormai lontano 1972. Da allora, Pärt ha cercato un linguaggio musicale nuovo ma, soprattutto, ispirato all’universo mistico della religione cristiana ortodossa. Non stupisce trovare, dunque, fra i testi della partitura, un Lamento di Adamo scritto da un carismatico monaco ortodosso, Silvano dell’Athos, nei primi anni del ‘900; anzi, la vicenda di Adamo va proprio letta sulla base delle parole di Silvano, che sono incentrate sul sentimento straziante della nostalgia per la perdita della grazia primigenia. L’universo visivo creato da Robert Wilson per Adam’s Passion è essenziale tanto quanto lo stile musicale di Pärt. Si distinguono nettamente due momenti: prima e dopo la ‘passione’ di Adamo. La parte più riuscita dello spettacolo, a mio avviso, è proprio la prima. In una dimensione di luce, tenue e diffusa, si muove il ballerino Michalis Theophanous, lento e ieratico. La completa nudità, sfumata da giochi di luce chiaroscurale, incarna la purezza dell’uomo primigenio appena creato da Dio; Pärt, per questa dimensione edenica sospesa, inventa Sequentia, l’unico brano appositamente composto per l’opera. Sequentia si basa su una linea melodica discendente del violino, puntato da lievi percussioni, in struttura canonica, ripetitiva. L’effetto complessivo è irresistibilmente ipnotico e si fa perdonare, forse, l’eccessiva dilatazione temporale della sequenza, che intende, con ogni probabilità, suggerire proprio il tempo sospeso (si notino anche i movimenti rallentati del ballerino) della vita di Adamo nell’Eden. Il secondo brano è un coro su parole di Silvano dell’Athos (Il lamento di Adamo), che accompagna il momento in cui Adamo compie il peccato: lo stile musicale è ancora profondamente influenzato dalla musica sacra antica, con un’asciutta e cantilenata interpretazione moderna. La scena si movimenta con la comparsa di una figura femminile, l’eterea Lucinda Childs, che potrebbe rappresentare Eva – i personaggi sono caratterizzati da una certa dose di ambiguità nei ruoli, certamente voluta da Wilson. Sulla scena viene calato un albero ribaltato, allusione chiara a quello della conoscenza del bene e del male al centro dell’Eden, così come descritto in Genesi. Le figure femminili diventano tre (con l’aggiunta della Kosmônina e della Marts): allusione forse anche alla componente divina ed angelica? Adamo scompare sul fondo: ha commesso il peccato. A livello registico, tanto quanto musicale, è forse in questa cesura essenziale, il peccato originale di Adamo, che è mancata una più marcata, decisa caratterizzazione. Lo stile musicale sospeso, ripetitivo, sacralmente monotono varia impercettibilmente e perde, forse, le possibilità diegetiche offerte dal racconto biblico. In effetti, la scelta di incorporare, dopo Il lamento di Adamo, Tabula rasa (1977), pezzo per due violini, orchestra d’archi e pianoforte, è interessante, ma, appunto, non così netta da sottolineare l’evento della ‘tragedia’ del peccato – ciò non toglie che l’esecuzione dei due solisti, V. Bolognese e. F. Malatesta, sia in ogni caso ragguardevole. La gestione registica dello spazio di Wilson si addensa, in questa seconda parte, di simboli. Prima una piccola immagine di una casa sospesa, che rappresenta l’Eden oramai non più raggiungibile, poi una casa sullo sfondo, che allude alla Terra dove l’uomo è oramai costretto a vivere, in precario equilibrio – questo il senso degli oggetti che una delle comparse dei bambini porta sul capo. Sulle note del Miserere (1989-1992), ben eseguito dall’ensemble (voci soliste: Y. Choi, M. Pärna, R. Mikson, R. Vilu e H. Tiisma), si compie la tragedia dell’inizio dell’umanità. Adamo-Theophanous ricompare vestito, attestando l’irrimediabile perdita della purezza originaria; danza sorreggendo sommessamente una scala, che non lo porta a nulla: il paradiso è oramai inaccessibile. I bambini rappresentano l’inizio del popolamento umano della terra, inizio traumatico, fatto di unioni matrimoniali ma anche di morte, come nel racconto di Caino ed Abele (ad un certo punto compaiono due bambini che imbracciano dei fucili). Frattanto, Wilson ha deciso di caratterizzare questo secondo grande quadro con uno sfondo in cui, al posto di una luce diffusa, si utilizzano dei fari, variamente combinati, a sottolineare, ulteriormente, la perdita di tale purezza – nell’ultimo quadro pare di avere un mobile cielo stellato sullo sfondo. Ultima invenzione registica è quella di una serie di comparse, in tunica nera, che incarnano l’umanità post-edenica: come il loro progenitore portano un ramo di ulivo, ma non in elegante equilibrio sul capo, a testimoniare l’armonia uomo/natura, bensì in un’atmosfera cupa, che nulla ha della grazia incontaminata di un Eden perduto e che grida lo strazio del perdono.



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