Uno schiaffo, dicevo, sarebbe stato più gradito, avrebbe riportato a galla un briciolo di autenticità.
In quel certo contesto, dove si mescolano l'insalata dell'orto
ovviamente coltivato dal fittavolo di turno con l'ultimo articolo di "Repubblica" adeguatamente commentata, chiosata e spesso, generosamente, criticata, (per essere chiaro mi riferisco a Repubblica e non all'insalata) le presenze di varia natura si alternano, variabili come in una funzione matematica, ma sempre con un minimo di ingredienti comuni:
ci dev'essere almeno uno straniero, un italiano che vive stabilmente all'estero, possibilmente in un paese esotico lontano da noi, uno che ha visto in faccia qualche pericolo, almeno un artista che so uno scrittore, un giornalista.
Incredibilmente le parti si integrano, tra di loro si amalgano, si scelgono, si annusano.
Sono parti di un intero solo apparentemente scelte a caso.
In questo contesto non esiste la casualità:
ciascuno si sceglie ed eccola, di nuovo emergere più viva che mai, la modalità culturale di classe.
Il raccontarsi è una specie di spettacolo che avanza a colpi d'azione, pura arte scenica involontariamente applicata al palcoscenico di una classe alto borghese inconsapevole di un declino innarrestabile.
(fine parte seconda)
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