Stefan Zweig Verlaine
La prima biografia, scritta da Zweig a 23, anni delude pienamente.
É completamente assente il poeta e la sua opera letteraria, non bastano sparute citazioni in questo saggio di 55 pagine a riparare alla mancanza.
Zweig si fa prendere la mano dalla sbornia "chimica" del personaggio e ne fa una lettura esclusivamente freudiana.
Verlaine è inchiodato da subito nello stereotipo della sua infanzia: troppo felice! Una madre che lo ama troppo, una cugina adulta della quale forse lui s’innamora ed il gioco è fatto.
Viene immediatamente esposto il dualismo maschile/femminile, forte/debole ed il povero Verlaine è subito incasellato nella seconda classe.
Cosa può fare il soggetto in questa situazione? Ovviamente gettarsi, da subito, in braccia all’assenzio, per mancanza di prospettive future. Non come il bravo Baudelaire che invece con l’hashish allargava i suoi confini letterari!
Cosa deve fare in queste condizioni l’infelice? Sposarsi ovviamente!
Alla nascita del figlio però si apre un episodio, importante, ma solo un episodio precisa Zweig: Rimbaud.
Piomba questo rude ragazzotto di provincia, nemmeno bello, il Shakespeare infante (Victor Hugo), ovviamente incasellato nella categoria dei forti e il tapino Verlaine è inghiottito in un solo boccone.
Non sia mai, precisa il biografo, che ci si perda a stabilire se fra i due ci sia un rapporto sessuale! L’omofobia di Zweig gli impedisce di analizzare questo banale dettaglio perchè il rapporto fra i due può essere solo spirituale, etereo. Però gli impedisce pure di fare un’analisi della differente visione poetica dei due e il tutto è ridotto alle sbornie della strega verde dei poeti, ma ovviamente solo Rimbaud supera tutto, essendo nella categoria del maschile/forte.
Il rapporto fra i due termina bruscamente, come si sa, e dalla prigione esce Il Verlaine convertito al cattolicesimo, perché la sua anima in tumulto approda inevitabilmente alla confessione, dopo il peccato!
Poche commenti sul Verlaine cattolico, subito annullato da quello squallidamente pornografico.
Si chiude così, tra gli sberleffi della plebe e delle prostitute, il saggio di Stefan Zweig sul poeta Paul Marie Verlaine.
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