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Pirati

di Paolo Pozzi
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Pubblicato il 16/03/2018 17:14:43

Le lenzuola sulle quali ero sdraiato erano bagnate del mio sudore. La stanza da letto di mia nonna era all’ombra solo per via delle persiane socchiuse, ma l’estate entrava lo stesso.

 

«Eravamo sempre in tre a saltare per primi sulle navi: io, barbagrossa e pugno di legno»

 

«Ma non avevi paura?»

 

«Sempre! Ma avere al fianco i miei fedeli compagni mi dava coraggio. Insieme riuscivamo a vincerla»

 

Come per le sbarre di una cella, il sole spingeva violentemente sul verde delle persiane. Si aggrappava con i suoi raggi alle strette fessure, cercando inutilmente di allargarle.

 

«Ho caldo papà» - lamentarmi era l’arma più forte che avevo in quel momento per sentire fresco.

 

Ogni spallata del sole sulle persiane terminava con l’esplosione in mille pezzi dei suoi fragili raggi. La maggior parte delle schegge rimbalzavano sugli alberi e sui sassi del cortile illuminandoli. Quelle più fortunate rotolavano all’interno della stanza, spegnendosi nei suoi colori.

 

«Anche barbagrossa lo diceva sempre. Era il più alto di tutti, grande e forte come un orso. Era talmente peloso che faticavo nel distinguere l’enorme barba dai peli del petto»

 

«Per questo si chiama barbagrossa

 

«Esatto. E con la sua grossa voce non faceva altro che ripetere sempre la stessa cosa: Ho caldo! Ho caldo! Ho caldo! Ho caldo!»

 

Si potevano percepire i diversi colpi del sole sulle persiane ad ogni vampata di calore. Più erano forti, e maggiore era il disperato tentativo di abbattere quelle sbarre.

Mio padre indossava pantaloncini corti che terminavano sopra le ginocchia, mentre il torso magro era nudo. Piccole gocce di sudore lasciavano testimonianza del loro passaggio sulla pelle della fronte e del petto, cancellate ad ogni passaggio del fazzoletto di stoffa che teneva nella tasca sinistra.

 

«E tu non avevi caldo?»

 

«Sì, ma avevo imparato a pescare il mare»

 

«Davvero? E come??»

«Mentre la nave solcava le onde spinta dal vento, legavo un secchio di legno a una cima e lo buttavo in acqua. Con le mani stringevo forte la corda lasciandolo giocare un po’ con le onde, fino a quando una di loro non decideva di entrarci. A quel punto tiravo con tutte le mie forze la corda riportandolo a bordo»

 

«Ma eri fortissimo papà!»

 

«Dopo essermi rovesciato il mare appena raccolto sopra la testa, andavo in prua alla nave per farmi rinfrescare dal vento»

 

«E pungo di legno non aveva caldo?»

 

Mia nonna entrò in quel momento portando su un vassoio due bicchieri colmi di ghiaccio e una bottiglia di tè al limone. Amavo bere il tè freddo, soprattutto quando ascoltavo le storie sulle vite mai vissute di mio padre, ma a dieci anni credevo sinceramente fossero vere.

 

«No, lui amava il sole. Era come una lucertola, rimaneva per ore fermo sotto il sole cocente»

 

Ci eravamo trasferiti da mia nonna da circa una settimana. Con la nascita di mia sorella i miei genitori decisero di allargare casa acquistando l’appartamento vuoto di fianco al nostro. I lavori di ristrutturazione erano appena iniziati, e per tre settimane sette persone sarebbero vissute in un grande bilocale.

 

«E perché si chiama pugno di legno

 

«Durante uno scontro un soldato gli tagliò la mano con la spada, e al suo posto si fece mettere una mano di legno chiusa in pugno. Era la sua arma preferita durante le battaglie»

 

«E combattevi anche tu che sei dentista?»

 

«Certo! Usavo delle enormi pinze per spaventare i nemici, e quando staccavo dei denti li tenevo per farmi una collana. Per questo mi chiamavano il pirata dentista»

 

Altra spallata del sole, forse la più violenta. Il fazzoletto di stoffa faticava nell’assorbire le piccole strade di sudore sul corpo di mio padre. Ma il bicchiere di tè ghiacciato iniziò a dare l’effetto desiderato.

 

«E non lo fai più il pirata?»

 

I gemiti di mia sorella ci avvisarono che si stava svegliando. Aveva dormito per qualche ora, nonostante il caldo torrido di quel pomeriggio. Avvolta nel suo anno di vita era tranquillamente sdraiata al mio fianco. Dopo i primi lamenti iniziò a muovere braccia e gambe come farebbe una tartaruga sdraiata sul dorso.

Mio padre la guardò sorridendo per qualche istante prima di alzarsi per prenderla in braccio.

«Ora non più»

 

Riempì per entrambi un altro bicchiere di tè, nel ghiaccio quasi completamente sciolto.

 

«Ma ricordo bene l’isola dove ho nascosto il baule»

 

«E cosa ci hai messo dentro?» - la mia curiosità scalpitava

 

Con un lungo sorso finì il suo bicchiere.

 

«I vestiti da pirata, la mia pinza da battaglia e le mappe dei tesori che non sono ancora riuscito a trovare»

 

Aveva in braccio mia sorella, cullandola nella sua innocenza. Lei aprì gli occhi allungando il piccolo braccio verso la sua barba.

Si sorrisero entrambi.

 

«E non vuoi andare a cercarli?»

 

Prima di rispondere mi guardò porgendomi lo stesso sorriso.

 

«Non tutti i tesori sono fatti per essere trovati»

 

«Perché?»

 

Il sole diede un altro colpo alle verdi persiane, spingeva per entrare. Quale carcerato cerca in tutti i modi di entrare in una cella, e non di uscirne?

 

«Un giorno capirai che la loro ricchezza risiede nella loro mancanza»

 

Forse chi ha paura della libertà.


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