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Mia Madre

di Giuseppe Bonvicini
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Pubblicato il 17/05/2018 12:00:16

Ad un compleanno di strisciante vecchiaia considero, in un andare molto indietro con gli anni, che mi manca lo status di adolescente. I ricordi della mia vita inutile, si sperdono in lontani fatti della fanciullezza e si riaffacciano poi, solo più tardi, quando credo di essere diventato grande a sufficienza, intorno ai vent’anni più o meno. Oddio, si può diventare adulti in giovanissima età o si può restare bambini per molto tempo, per tutta la vita anche. Ma questa affermazione contiene una valenza snobistica e pertanto non vorrei riferirla al mio caso. Dico non vorrei perché non ne sono certo, come sempre del resto quando si tratta di parlarmi addosso non ho mai certezze consolidate. “Sei una farfalla!”, me lo hanno rinfacciato o l’ho pensato anch’io, non fa differenza, un semplice dettaglio. Mentre l’accusa di snobismo resta e pesa come un macigno, ignorando se per insopportabilità o per eccessiva gratificazione. Entrambe le evenienze vanno considerate a fondo per stabilirlo. Come? Non lo so per ora, dopo tutto non mi interessa granché il saperlo. Anzi non mi interessa affatto per via della mia presunzione innata. Dunque, e questo me lo chiedo, chi ero in quell’inesistente passaggio di ruoli? Avevo fratelli e sorelle come tutti, uno mi era gemello e uno più grande perduto da anni volato via come la colomba del suo amato Picasso. Ora le sorelle sono vedove, abbastanza in salute e con voglia di vita. Volevo bene a tutti loro ? Non saprei dirlo, perché non li conoscevo intimamente, allora, per via della guerra che ci aveva separato. E poi, anche li avessi avuti intorno, non avrei provato particolari sentimenti d’affetto per il fatto che ognuno è diverso dal suo simile, e perché è umano- o disumano? - pensare di se stessi prima che di altri, siano pure i fratelli di sangue. Questo fu anche dopo, visto che con evidente cinismo considero il conclamato amore fraterno troppo spesso un sentimento da telenovelas, buono per citazioni di rito e per lacrime d’occasione. Volevo bene a mio padre e lo ricambiavo senza riserve. Amavo mia madre in una burrascosa reciproca incomprensione. Il ricordo più lontano di lei è di una domenica a cinque anni che mi castigò per una mia negligenza fatta a fin di bene nelle mie intenzioni, negandomi di andare alla messa con gli altri: in ginocchio invece, per tutto il tempo ad espiare quella presunta mia indegnità. Mi sentii un vero peccatore e forse ne fui anche fiero? Perché ribelli anche si nasce ed io ci ero nato. Mamma, non ti ho mai serbato rancore per questo affronto del quale eravamo entrambi complici responsabili in parti uguali. Senza privilegi di gerarchia intendo. Ora, che la tristezza mi accompagna assai spesso, ho provato a rifugiarmi nel ricordo di te, scomparsa da tantissimi anni nella maniera nella quale se ne vanno i vecchi: sola e infelice in un ospedale neanche tanto alla tua altezza. Eri rimasta per alcuni giorni assopita o addormentata. Noi, ci alternavamo attorno al tuo letto, tentavamo anche di chiamarti, ma inutilmente. Penso che quel silenzio, fosse la tua piccola, o grande, vendetta nei nostri confronti per averti regalato la ‘bellezza’ di una casa di riposo. Non ne volevi sapere, ed avevi ragione da vendere: tutti complici a decretare la giustezza della scelta. Fu una scelta? Certo che lo fu santodio! Nessuno poteva (o voleva) tenerti. Eri un peso, non lo sapevi? Poi occupavi spazi, occupavi tempo, occupavi equilibri, occupavi la nostra vita, insomma…Avrei molto da dire sul tanto disordine che nasce quando dei figli vogliono mettere ordine. Siccome non ho diritto di pontificare, mi dichiaro reo nella circostanza dei tuoi ‘rifugi imposti’ e mi rifugio anch’io nei ricordi che molto hanno lasciato alla mia memoria. E al mio cuore, credimi, cara madre del nostro tempo perduto. Ho un ricordo dove andare, a volte, neanche tanto sperduto o tenuto a galla per le ricorrenze importanti. Era un pomeriggio di primavera con le rose di maggio arrampicate sotto la tua finestra. In camera parlasti come sempre, ti lamentasti come sempre, mi rimproverasti un po’ come sempre. Ma mi accorsi che la tua salute non era quella di sempre: non sapevi dire, o non volevi dire, o ti vergognavi di dire che sentivi un peso gravarti nel ventre. Intuii? Si si, non serve essere indovini o persone eccezionali per capire che la loro madre anziana si sta portando a spasso un tumore. E da tempo oramai, anche se nessuno – medico o non medico- ne parlava. Uscito dalla tua stanza, tornai indietro percorrendo la stradina esterna. Non ci eravamo dati appuntamento, non era mai accaduto prima: eri alla finestra, a piano terra, ad aspettarmi…sorridente, con i tuoi occhi celesti accesi come non li avevo mai veduti da quando, la vecchiaia, aveva reso anche i tuoi un poco spenti. Ecco, questo è il mio ricordo: i tuoi occhi mamma, belli e buoni come non ne ho più veduti di uguali. Come quelli, i tuoi di quel pomeriggio del nostro incontro, dell’ultimo incontro tra una madre e suo figlio ora anziano... quasi vecchio ahimè!


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