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Prenome Benedetta

di Giuseppe Bonvicini
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Pubblicato il 18/05/2018 18:01:31

La segretaria infermiera mi dice di accomodarmi:”è questione di poco credo, poi lei è in anticipo vero?” Conosco fin troppo bene la strada ed entro nel salottino di attesa. Dapprima alla finestra balcone guardo i tetti assolati e la Cattedrale di lato, disotto il giardinetto con le rose appassite. Poi mi siedo nella poltrona nera che mi permette di avere davanti Balthus: la stampa della Stanza dove l’adolescente mi trasmette la sua noia dell’attesa. Che non è uguale alla mia, essa è più importante e pregnante: in fondo lei ha pochi anni, io molti di più. Come li avrà la ragazza che sta uscendo dallo studio con gli occhi arrossati e i gesti bizzarri. “Venga” la sua voce da dentro. Lo frequento da mesi il bravo analista a cui chiedo: “chi è la ragazza?” non risponde e mi dice di sdraiami, rifaccio la domanda e butta là “segreto professionale, su come andiamo?”Io parlo del più e del meno dico che il caldo è insopportabile che in città siamo rimasti in pochi: ma penso alla ragazza di prima alla tenerezza del suo pianto. “Bene, bene”sembra venire a consolarmi: “noi qui abbiamo terminato almeno per ora intendo, le ferie sono sacrosante vero? Lei ne sa qualcosa”ridacchia e mi parla del viaggio che farà a Bali con moglie e figlia “è il periodo migliore sa? nemmeno io lo sapevo….” ma io non lo ascolto, con la testa sono altrove. Lo capisce e cambia argomento: “lei era molto stressato, la depressione nove su dieci parte da questo, ma ne abbiamo parlato ora sta meglio vedo, sa anche i farmaci hanno fatto la loro, senta cosa ne dice di vederci in settembre?” Poi al citofono dice alla signora di fissarmi per dopo il quindici di quel mese. Ci salutiamo con una stretta di mano, io gli auguro un bel viaggio e lui una bella vacanza: “a proposito dove andrà?”Gli dico che non ho ancora deciso: “al mare forse”.Giù, “salve!”è la ragazza di prima con un cono in mano davanti ad un bar due passi dal comune portone.”Ciao!” non credo ai miei occhi e sono contento, mi fermo.”Senti e lo strizza?” fa una boccaccia e aggiunge “che stronzo!” Tento “ti ha fatto…” non mi viene il piangere ma lo dice lei.”Ho pianto di rabbia non ci vado più, poi va a Bali lo scemo.”Mi presento,”mi chiamo Giulio”,lei”mi chiamo Benedetta che nome del cazzo vero? Poi addosso a me sembra una bestemmia.” E ride col gelato che finisce per terra.”Fanculo! Faceva schifo, avevo chiesto menta e liquirizia e mi dice che li ha finiti.” Poi dichiara che quello allo yogurt non è male.”Da che parte vai? io prendo la metrò”,non so cosa dire di diverso. E’ una bella ragazza che mi intimidisce forse per via degli occhi di un blu oltremare, è un po’ magra ma alta.”Anch’io, la due per Piola e tu?” Intanto si accende una marlboro.”Va? Anch’io la due, scendo a quella dopo, a Lambrate”. Ne sono entusiasta. Lei dice che è una figata e mi prende sottobraccio.”Dai, raccontami di te,sei sposato?”ci avviamo alla fermata, cento metri più avanti.”Prima no, poi quasi, devo farle pena.”Ma la tradisci? la verità bel figaccione!” con lo slang dei ragazzi di famiglia.”Siamo assieme da poco, lei è già al mare” (una balla pietosa), che non la tradisco per me resta sottinteso.”Allora sei solo? cucini tu o vai al ristorante, o salti?” e ride, è la prima volta che la vedo allegra.”Non so farmi nemmeno il caffè, ogni tanto mi cucina la donna, quella dei mestieri, sennò esco”: anch’io rido. Siamo seduti vicini in coda alla carrozza, sia per l’ora che per via del fine luglio non c’è affollamento.”.Vengo da te? dai!” Mi guarda diritto negli occhi.”Adesso? ma c’è ancora il custode”(balla pietosa due). Lo dico con la bocca impastata.”Ma che cazzo ti frega del custode?” mi fissa con scherno evidente.”Senti, così domani tutto il condominio sa che mi porto in casa le ragazze” mi sembra una giustificazione più che assennata.”Ma che cazzo ti frega del condominio?”lo scherno è quasi rabbia.”E’ il nostro perbenismo non posso farci niente”,con rabbia anch’io, con molta rabbia. Segue un silenzio imbarazzante almeno per me perché lei dice:”io ho voglia, volevo godere” con gli occhi che stanno per piangere.”Io ho voglia di quello che non so” una frase sciocca da uomini sciocchi. Poi nel silenzio le prendo la mano e la ascolto che dichiara:”sono malata, si chiama anoressia”,ora è tranquilla e parla con pudore.”La prossima è Piola!”, lo dico per dovere.”Non ci sarà la prossima, lo è già”, si alza e si avvia. Io la seguo e la trattengo nel mentre si spalanca la porta: come si è spalancato il cuore in un battibaleno.*** Siamo a casa mia e abbiamo fatto all’amore. E’ così magra che pare trasparente, una trasparenza che mostra l’anima di dentro: pura come la bellezza del suo sguardo da rinascimento. Ora è rannicchiata tra le mie braccia e mi stringe forte la mano, nello specchio vedo i suoi occhi vagare senza una dimora. Penso che potrei essere la sua casa ma è un pensiero astruso che non vuol dire niente: ci saranno dieci o più anni tra noi e altri cento di paure nascoste quelle che tento di tirar fuori io e quelle che opprimono lei fino a schiacciarla.”Cosa facciamo ora?”a me va bene tutto.”Ancora l’amore dai!”quasi un’implorazione. Le dico “dopo tesoro”, sono sincero è lei lo avverte.”Ceniamo da te? Dai preparo io so farlo sai” che tenerezza.”Però dovrai avvisare a casa immagino?”con apprensione vera.”Si papino mio, chiamo la stronza” che sarebbe la madre lo capisco. Gira scalza per la cucina con la mia camicia addosso, cerca pentole e altro e non so aiutarla ha detto che preparerà una sua specialità e che sarà una sorpresa. Ma devo lasciarla sola e allora le dico che vado a telefonare a Valeria (balla pietosa tre). Accendo la tivù per il telegiornale, in cucina lei urla e canta la Nannini a squarciagola, abbasso perchè quelle canzoni mi prendono sempre. Sono quasi le nove quando grida: “è pronto dottor Stranamore!” e la sento ridere mentre mi sciacquo le mani. In cucina ha preparato con le candele, devo tenere gli occhi chiusi per via della sorpresa che è una pasta con dentro una decina di cose.”Ti piace? l’ho inventata io ad una festa” mi guarda e aspetta che io dica di si.”Da morire.” E il mio vorace appetito le dà la certezza. Lei pizzica qua e là poi dice che le scappa pipi. Penso stia vomitando e allora nello sconforto io me la prendo col mondo intero.”Piccola, ma lo strizza ti sta aiutando?”non so come porre la domanda.”Quello? ma stai scherzando”mi fissa come avessi dovuto saperlo.”Allora perché…” dovrei proseguire ma lei mi ferma.”Chiedilo a mia madre, fa tutto lei senza mai dirmi niente questo è il terzo caro mio: il primo mi faceva sdraiare nuda e dietro intanto si pipava, la seconda era una lesbica e mi diceva che mi amava da morire, da questo qua ci vado da tre mesi e ogni volta mi urla che non collaboro”, poi abbassa la testa e tira su col naso. “Ma tuo padre?”lo avrà santo cielo.”E’ buono ma è un coglione in casa non può mai dire la sua, per esempio lui fa l’avvocato e lavora come una bestia, ora vorrebbe riposarsi un po’ in montagna ma niente: la stronza ha deciso che si va tutti in America”. Ora è arrabbiata e se la prende coi cuscini del divano.”Tu e loro?” tanto per sapere.”Si perché mio fratello che ha solo diciassette anni fa il cazzo che vuole, beato lui e andrà a lavorare nell’agriturismo”, parlandone con orgoglio. Sento che devo fare qualcosa ma non so cosa. Sento che provo una tenerezza che sfiora l’amore. Sento che lei si aspetta un mio aiuto quando mi dice:”mi sono innamorata sai?”con lo sguardo lontano.”Almeno una cosa bella santo dio.” Sono felice che abbia un ragazzo.”Ti amo da impazzire, se mi lasci mi ammazzo!”Allora capisco, sono io il suo amore. Sono io… Ecco l’aiuto che cerca, un uomo più grande che le ridia la vita. Che tenti di farlo perlomeno. So dove abita, la sera avanti l’ho accompagnata in macchina a casa e passando dinanzi al condominio mi aveva detto ” quello là”. Mi sono piazzato a ragionevole distanza sotto la pensilina del filobus ché alle dodici di luglio il sole brucia le cose e le persone. Sto aspettando che esca, anzi sto sperando da quasi due ore e sono là non per un appuntamento convenuto ,”ti telefono io” aveva detto nel lasciarci mentre io le accarezzavo i capelli e lei singhiozzava composta. Ma avevo trascorso la notte a guardare le stelle sicuro che tra esse una fosse infelice come lei , poi avevo atteso di sentire la sua voce: a cominciare dall’alba che si era proposta fiacca dentro la foschia dello smog e quella dei pensieri. Non telefonava, e il mio ragionamento calcolava le fasi del giorno come avessero parametri universali, fino alla rivelazione inaspettata giuntami come un dogma “alla mattina i giovani dormono che dovrebbero fare sennò?” Per questo sono qua, mi aveva parlato del suo cane che amava, “prima o poi.” E infatti eccola uscire dal portone e inseguire il labrador che corre verso i giardini. La chiamo… niente, la rincorro e giungo stremato dov’è sdraiata nell’erba, le dico ciao e un sacco di parole che ascolta con aria distratta, mi chiede di non cercarla ché la sua vita è un valzer senza musica. “Ma ieri hai detto di amarmi?”Patetico senza dubbio.”Ieri era ieri” poi nasconde la faccia per piangere.”Non mi presenti Pompeo?” un tentativo di distrarla.”Ah si!” lo chiama con un fischio e ora sprizza allegria.”E’ più bello di te”, una battuta cretina la mia.”Lo so lui mangia anche per me” una tenerezza che angoscia. “Senti, andiamo al lago?”ma un posto vale l’altro.”Si dai, quale?”con vero interesse. Glieli elenco tutti dal Garda ad Orta. Lei sceglie Orta perché le piace il nome, mi dice “anche Pompeo però” e l’assicuro “anche lui”.Quando ci arriviamo propongo la trattoria, le mi chiede di andarci da solo e di portare “qualcosa per lui”. Allora invece tutti sotto la pergola dove fanno panini, ordina anche lei “prosciutto, formaggio, carciofi, pomodoro, grande che dobbiamo mangiare in due.”Invece mangia solo il cane perché io solidarizzo col suo digiuno.”Prendiamo la barca facciamo il bagno e…” ha il volto raggiante. “L’amore? Sulla barca? Con il caldo?” Sono domande che lei non comprende e noleggio un gozzo che mi fa sudare solo a guardarlo.”Alla bancarella vendono i costumi, vieni” una proposta sensata priva di un senso che le appartenga.”Lo facciamo nudi come Pompeo”,la sua logica disarma. Io acquisto gli shorts e un barattolo di crema lei mi prende in giro e mi dà del trapassato, e appena il legno si stacca dal molo si toglie tutto e si posiziona in punta: allarga le gambe “ti piace?”e siccome dico di no le allarga ancora di più più fa una boccaccia e urla “ti amo piccolino” poi si tuffa assieme a Pompeo , lui abbaia lei canta io li guardo e basta. E quando anch’io sono nell’acqua devo fare i conti coi suoi giochi impertinenti ché il protestare non serve: anche quando mi si avvinghia come una piovra e ottiene l’amplesso che si era ripromessa. “Siamo una copia fissa?” me lo chiede di continuo ora che il suo valzer le scandisce la musica.”Certo che lo siamo” mento in una buona fede sincera. Sono passati pochi giorni che paiono infinito, quello che ha preceduto l’incontro, quello del domani. Mi consola che la leggerezza del presente li contenga entrambi: così diversi così lontani. Perché di una cosa ho certezza in questo arrancare forzato “io la salverò aldilà dell’eco di una poesia mai scritta”, questi i pensieri che rubano sonno alla notte e sbriciolano tutto il gesso alle precarie pareti. Ci siamo dati appuntamento per le nove a Loreto. Lei arriva trafelata, è vestita come non l’ho mai veduta prima: indossa cose femminili ben pettinata appena truccata.”Hai visto?” fa una piroetta e la gonna svolazza.”Sei perfetta per una festa di nozze” e l’abbraccio con l’emozione che si rinnova.”Dove mi porti Sranamore?” e ride, ride serena”Avevo pensato al fresco brianzolo” ho in mente Merate o Montevecchia.”Che fantasia, allora meglio casa tua”non ride ma è serena.”Guarda là trentacinque gradi, Stranamore si rifiuta” penso altri posti e fisso il suo disappunto.”Sai che sotto sono nuda?”vuole provocarmi ed eccitarmi.”Allora ti porto dove dico io” ho deciso per Bergamo alta. In macchina alza al massimo lo stereo canta assieme a Battisti e mi dice le sue preferite: che sono anche le mie “fatti uno per l’altra”è il suo commento mentre l’autostrada scivola sotto e l’aria spettina i pensieri tristi.”Ecco arrivati” mentre parcheggio.”Cavolo che bello qui” è scesa ed è già seduta sul muretto. Mi siedo accanto a lei con le gambe che penzolano nel vuoto, le ho cinto la vita col braccio e lei mi ha posto il capo sulla spalla. “Quante luci, chissà che fanno in quelle case”una frase banale che la rimanda al suo chiodo fisso.”Scopano, beati loro.”Mi prende la mano e la posa sul seno che non ha.”Invece noi andiamo a farci un gelato” paterno è sciocco vista la circostanza.”Capirai…” con tutta l’amarezza di un rimpianto. Segue il silenzio dei baci taciturni, quello degli sguardi che trasudano malinconia. Perché tutto è precario io lo so, lei lo sa.”Dai, fissiamo una stella e pensiamo ad una cosa” io ce l’ho accanto ma guardo lo stesso verso il cielo.”Quella la vedi?” indico col dito dove ce ne sono milioni. Si quella.” una vale l’altra purtroppo.”A cosa hai pensato?” vuole saperlo è determinata.”E’ un segreto solo la stella lo sa” le faccio tenerezza perché mi bacia la mano e dice che sono uno stronzo. Poi salta giù e si mette a correre avanti e indietro, la osservo e considero che i bambini fanno come lei. Quando le propongo una gelateria lì accanto fa no col capo e si infila nella Chiesa.”Dai qui non c’è nessuno facciamolo qua” maliziosa ed ingenua al tempo.”Non scherzare siamo in un luogo sacro” però sorrido lo stesso.”Allora io mi confesso tu fai il prete” mi indica un confessionale con la grata. Si inginocchia e mi chiama con insistenza, decido di accontentarla ed entro timoroso aprendo la porticina che permette di ascoltarla.”Da quanto tempo non ti confessi figliola?”Lei “dalla prima comunione.”Io” vuoi dirmi cosa ti affligge?” lei”mi chieda, io le rispondo” io”ami i genitori?” lei “mio padre si, mia madre sarebbe meglio morisse” io”hai commosso atti impuri?” lei” cosa vuol dire, se scopo?” io si, si anche quello,”lei “ora lo faccio con uno quasi sposato, con lui mi sento bene anche se succede poche volte ha sempre caldo,” io”ma queste cose fuori dal matrimonio non si giustificano col sentirsi bene, lo ami almeno?” lei”si, tantissimo, se non avessi lui mi ucciderei.” io”il Signore capisce e perdona, dici bugie?” lei”sempre, anche a lui.” io”per esempio?” “gli ho detto che sono andata da tre strizza e che due facevano i porci” io”allora sei andata solo da uno?” lei”si!”io “in  Chiesa non vai vero? lei “questa non è una Chiesa?” io”va bene, devi pregare la Madonna.” lei”che mi faccia guarire? Ha altro da pensare.” io “non è vero, lei pensa a quelli che hanno bisogno”, lei”Stranamore, ma tu hai fatto il prete?”Ora il suo gioco è terminato però ora so una cosa importante.”Si, nell’altra vita” mentre esco dal confessionale e chiedo perdono a non so chi. Lei si è inginocchiata all’altare della Vergine, mi chiede dei soldi per dieci candele “non si sa mai, quella spesso ci prende” poi fa il giro dei santi sui quadri e dichiara che vorrebbe diventare santa anche lei. Eccolo il temporale annunciato, nella notte quasi fosse un ospite sgradito. Per un’ora ha fatto il pandemonio poi è scappato brontolando a rintanarsi per chissà quali paure, forse quella di aver fatto soltanto rumore o quella di aver spruzzato qualche chicco di troppo. Io l’ho accolto in terrazza,seminudo, incurante dei fiori che lui schiacciava irato e dei teloni che sventolava a bandiera. L’ho lasciato bestemmiare, anzi l’ho perfino benedetto salvo maledirlo dopo quando è andato. Ma tant’è, ora i pensieri sono lavati e le idee odorano di buono, come il profumo dell’asfalto che giunge adornato di frescura: balsamo propizio per carni moribonde. Sotto anche i lampioni tersi e luminosi inviano luce nelle pozzanghere ad incontrare l’amore: che diventa un agitarsi lieve senza affanno, tremore solo in superficie, breve quel tanto da non apparire esibizione. Mentre il semaforo riposa, egli, ha delegato il giallo che si mostra da pavone ammirato dai quei pochi, in corsa, verso la certezza di una meta nata morta. Così che loro non sanno di essere orfani da sempre. Mentre io lo so, forse caso o forse intuizione: per quei paradisi che giungono improvvisi e che poi scappano senza un addio o un battimani. Un miracolo questo rimasto: “una speranza, le certezze non ci sono” me lo aveva detto al momento del congedo con la franchezza del Luminare onesto, intensa come il suo guardare profondo. Così che io potei penetrare nella sua anima bambina con quella poca virtù che ancora mi restava, “ha parlato di speranza Benedetta, dobbiamo aver fiducia.” E mentre lo dicevo lei ,immersa nell’amore, fece si col capo, “ci parleremo ogni giorno vero?”Ed è per questo che a quest’ora della notte sono in attesa: della voce almeno, che un oceano ha per qualche tempo allontanato.


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