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Spessore umano

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 08/02/2019 20:16:14

SPESSORE UMANO

Caramella mi ha telefonato mentre sono per strada. Vuole che la raggiunga in centro città. Si trova al bar del portico con l’immancabile Cristina.
Dai, vieni che facciamo due chiacchiere. E andiamo pure a fare queste due chiacchiere, tanto è sabato pomeriggio e non ho voglia di stare rintanato in casa davanti al computer: mi bastano le mie quaranta ore settimanali.
Caramella è simpatica, sa come animare la compagnia. Di certo avrà incontrato colleghi di scuola o altri e a quest’ora sarà seduta su un giro panca imbottito a bere caffè e a parlare di cinema.
Percorro con calma le vie del centro che mi portano al bar del portico. Eccomi arrivato: abbraccio la vetrina che dà sul passeggio e la adocchio subito; naturalmente è con l’immancabile Cristina e in compagnia di una coppia.
Faccio ingresso. Lei mi ha già visto. E’ tutta allegra, mi viene incontro e poi mi presenta agli altri.
-Piacere, Pietro!-
Loro sono Marco e Marzia. Un connubio di nomi che mi fa pensare alle pellicole strappalacrime, ma non credo che di questo stiano parlando.
Infatti, non stanno parlando di questo. Caramella rievoca concitata una scena di fine anno scolastico: il pensionamento di una collega omaggiata con fiori e canti e presentata dal Dirigente.
Francamente non capisco che cosa ci sia tanto da agitarsi o da commuoversi ma Caramella è fatta così e forse è che io non sono sentimentale.
Abbozzo, per non sentirmi tagliato fuori e spero che i discorsi prendano un’altra piega.
La mia amica per fortuna mi legge nel pensiero e intavola la conversazione sui figli di Marco e Marzia, anche per risultare gradita ai due coniugi.
Uno studia ancora, l’altro è ingegnere e lavora a Milano.
Ohibò, anch’io sono ingegnere.
“Ma che cosa fa, che cosa fa esattamente?” chiedo.
“Cura il funzionamento dei forni per la lavorazione del petrolio” dice la madre.
“Okay” rispondo io.
“Viaggia in continuazione!” annuncia Caramella che è informata.
“E poi scrive anche!” aggiunge Marco con orgoglio paterno.
“Ma proprio tutto devi far sapere!?” commenta Marzia che sembra più riservata.
“Ma ci sta, ci sta” rassicuro io e penso al parallelepipedo underground, snodato e color giada, che ogni mattina mi fa sentire stretto ad altri pendolari come a gemelli sconosciuti, e alle quattro mura in cui, dopo aver sfregato il badge sul lettore, mi rinchiudo dalle otto e trentasette alle diciassette e trentasette.
“Sta tutto il giorno davanti al computer!” Marzia scuote la testa alludendo al figlio.
Immagino che lei stia pensando alle ore di libertà concesse, invece, dal mestiere dell’insegnante. Ma mi guardo bene dal dirlo per evitare complicazioni.
“Ecco vedi, è come te, Pietro! Computer e scrittura!” Caramella mi guarda fisso.
“Ma che cosa scrive, che cosa scrive?!” domando.
“Più che altro diari di bordo relativi ai viaggi e poi fantascienza semirealistica” spiega la madre.
“No, a me interessa di più la poesia” rispondo sottovoce.
“Perché?” Marzia vuol sapere.
“Perché dice tanto in poco”.
“Ma la poesia che fine ha fatto? Era già in crisi nell’Ottocento. Allora, almeno, la natura aveva un ruolo centrale… adesso invece…, e poi che linguaggio può essere utilizzabile oggi?”
Mi guarda con l’aria della classica insegnante assertiva che fa domande intelligenti.
“Beh, la natura oggi viene surclassata dagli oggetti che hanno preso il sopravvento su di noi . Poi, oggi il poeta non può più essere un intellettuale dedito all’attività contemplativa e allo studio dei classici ma è più probabile che sia un lavoratore precario qualsiasi, né più e né meno di uno addetto a un lavoro interinale.”
Marzia sbarra gli occhi e mostra un’espressione ingenua.
“Che brutto!?”
“Sarà anche brutto, ma questa è la realtà ” le rispondo.
Lei mi guarda distratta. Non so se sia veramente interessata, ma l’argomento deve averla stuzzicata.
“A me piace il poeta che si ritira sull’ “ermo colle” a meditare l’infinito”.
“Sarebbe autismo poetante!” affermo risoluto.
“E allora dovrebbe raccontare il nostro tempo in maniera incisiva” risponde.
“Eh, sì, incisiva… ha ragione- interviene Caramella rivolgendosi a me- tu non sei incisivo!”
“Grazie, sei molto gentile. Io cerco la rappresentazione della contingenza bruta, cosa che tu forse non afferri ” guardo Caramella sorridendo per farle intendere che sto scherzando: temo infatti che si offenda.
Mi molla una gomitata sullo sterno. Non si è offesa.
“Ma come fa a conciliare la full immersion nel linguaggio informatico con quello che dovrebbe essere l’atteggiamento dissidente del poeta?” Marzia sembra voler piantare sulla mia fronte due raggi laser che le fuoriescono dagli occhi.
Capisco che la sua formazione sia diversa, penso bonariamente ad anni luce di distanza.
“ L’arte poetica, se vuole essere vita, non può fare a meno di affrontare il quotidiano. Il linguaggio informatico mi risulta congeniale a questo scopo anche nel trattare temi esistenziali” affermo con nonchalance.
“Ma la sua forma mentis, inevitabilmente, risentirà degli orientamenti del sistema cui ricorre ogni giorno, con la sua attività quotidiana, e virerà verso il convergente, mentre il sentire poetico, che dovrebbe essere anche libera e pura intuizione, la porterà a divergere. Quindi, io proprio non so come lei possa conciliare le due cose”.
Marzia si è prodotta in un ragionamento che mi colpisce.
Zittisco. Non perché non sia possibile superare la questione con una sintesi lampante o io non sappia rispondere, ma perché, semplicemente perché, mi piace l’idea che possa esistere la dicotomia che questa collega di Caramella indica. Che mi dà l’impressione di non sentirmi immerso nella liquidità.
Non so se mi sto ingannando, ma sono convinto che stanotte invece che alle mail dei clienti, infestanti il server, penserò con più forza alle interrogazioni del nostro pensiero.
Si è fatta l’ora di congedarci. Sono quasi le otto di sera. Ci si saluta con reciproco slancio.
Spero che la discussione sorta abbia sviluppi e, soprattutto, gioia di spessore umano.










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