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Il peso delle donne senza nome

di Amina Narimi
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Pubblicato il 26/11/2017 18:11:15

Pronunciando Mosè dici l’ostetrico
delle Miriam che lo hanno messo al mondo,
dal grembo naturale al suo cestello,
è vocazione il nome, di Pietro di Simone, 
un compito preciso la chiamata,
come sulla terra, la promessa, 
c’è il soffio di Giosuè e poi Gesù -

e tutte quelle donne che continuarono a seguirlo

 

compagne del morente, che è ancora vita,
senza nome, loro che “Di buon mattino,
il primo giorno dopo il sabato, 
vennero al sepolcro al levar del sole.”
le donne non chiamate, donne laiche,
oltre il masso, rotolato via con il timore,
le apostole degli Apostoli, madri testimoni 
della morte, della sua deposizione, di chi risorge

 

con quale nome? Chi non esiste è grande peso.

Nell’acqua amara dell’amniotico rimane
ripetuto il nome di Maria, non altro quasi,
dal ventre pieno al vuoto della tomba.
E fosse solo questo, basterebbe

il coraggio della prima, a costo della vita,
nel domandare all’Angelo la via;
o quello dell’ostinata scavatrice sulla torre,
la prima donna ricomposta nel suo corpo-
non è un caso, proprio lei, di Magdala
la possibilità di essere chiamata col suo nome
nel luogo più preciso di ““Maria!”

 

“Rabbuni”- anche tu ti sei commosso

fino al pianto, nella casa di Betania,
per tirare fuori l’uomo e farlo alzare,

con un grido. Chi non esiste è un peso
che farà dei piedi una maestra,
dello scarto un tempio esatto
nell’accogliere il viandante con le orecchie-

 

due volte solo hai accusato la tua sete
con un imperativo, sulla croce, 
e, davanti al pozzo, alla straniera-
a qualcuno che non c’è, la macchia nera
di Samaria, che hai assetato
domandando acqua, e lei,
nel ministero dello svuotamento,
ti ha sposato.
Nessuno mangia più da quell’incontro
nessuno beve altro che l’amore,

celebrando la più vera eucarestia.
Nel punto luce che riconsegna la bellezza


coloro il ventre d’acqua nel deserto
dipingendo la donna cananea

col verdemare dei suoi occhi glauchi,
la fenicia che seduce con i cani 
riconoscendo un pane buono nei frantumi.
Verde anche la dramma, e chi la cerca al lume


per la prima comunione; con il rosso
del sangue del tabù, l’emoroissa,
la più lebbrosa degli infetti, senza chiesa,
e bianco il tocco delle mani 
sul mantello.
Col celeste dell’azzurro di Maria
coloro il primo figlio di una donna
senza Abramo,
la sua rivoluzione per il mondo.

Tengo il giallo per la fine, della vedova,


una macchia di sole abbacinante,
la perfetta-
fra i dottori seduti ai primi seggi
c’è il suo cuore, e tutto ciò che ha
una poesia.


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