E se ti ho ascoltata è perché ho riconosciuto
la tua voce, dagli echi della memoria
dei prossimi secoli, navicella alla deriva
nello spazio profondo. Ho la registrazione digitale
per non sbagliarmi e anche le impronte
dei polpastrelli incise nelle sinapsi della mente.
Le ho decodificate col raggio laser quando
ti ho stretto la mano, c’era già lo sfondo
perfetto e la luce ruotava lentamente
per fermarsi sul tuo sorriso. L’istante
che è nato sul marciapiede della stazione spaziale
è già scolpito nelle maglie del tempo sulla riva
di un fiume che in un giorno del futuro sarà storia.
Scorre tra alte mura di marmo e ha acque di velluto.
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