L’importante è iscriversi a un corso d’inglese, conversare in un inglese impeccabile,
anche se non si ha niente da dire, soprattutto se non si ha niente da dire,
arrivare a non aver niente da dire è un must di ogni nazione civile.
L’inglese è indispensabile, è l’idioma della Lehman Brothers,
dell’alta finanza che naviga su internet, nel cyberspace,
senza inglese non si trova lavoro, non padroneggiare l’inglese è un disdoro,
il macellaio si intristisce a colloquio con la mucca Highlander,
il meccanico non comprende il senso delle Goodyear,
l’impiegato d’un’azienda galvanica, con baricentro tra Renate e Carate Brianza,
si smarrisce a far bolle in brianzolo con l’inglese che avanza.
L’importante è iscriversi a un corso d’inglese, e non sia un corso di còrso,
all’inglese l’imperatore Napoleone non avrebbe mai fatto ricorso,
english is the language of future, benché, a noi, generazione no future,
non serva l’inglese, ma serva soccorso.
Glocalizzati, novelli servi della gleba, incatenati al territorio,
coviamo la funesta sensazione che l’italiano ci accompagni all’obitorio,
senza dovere mai rimpiangere di aver sprecato denari,
in corsi, insegnanti, lezioni e dizionari,
perché, abituati a spingerci al massimo fino a Varese,
abbiam la certezza che all’inferno, almeno, si parli inglese.
[Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, 2015]
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