Le foglie delle querce sono celesti alabarde
ai confini delle nuvole bianche.
Sussurrano "è giorno"
al picciolo che le tiene sul ramo
nella luminosa certezza di un istante.
Ardono
in ombre tremule sui sassi e i cespugli di sambuco
lungo il sentiero che macina incessante la natura e il sangue,
nella luce che abbraccia le verdi moltitudini,
il respiro dei vivi,
il frusto schicchiolio che ci trattiene collegati al fusto
a ricapitolare
il tempo in un vastissimo incomprensibile respiro.
Oh Dio,
saperti o non saperti esistere
è un problema di prospettiva quasi inconsistente
nel fluido che trascina le ere, nel magma
che modella incessante
il paesaggio sfuggente dei sogni terreni.
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