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Vuoto a perdere

di guido iannone
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Pubblicato il 19/01/2022 19:29:54

Mi lascio dietro, sovrappensiero, impronte sulla spiaggia, spinto da un vento micidiale che scende a picco giù nella marina per le gole scoscese delle Serre, e mi sferza la schiena con sabbia calda e pungente, a folate, alta nell’aria. Lo Jonio è tutto crespe d’onde che, al largo, si fondono al biancore dei gabbiani inquieti e petulanti, mentre il sole, cocente ancora, s’inerpica in cima alle montagne per poi, con flemma, scendere dall’altra parte, verso il Tirreno e inabissarsi in esso.
Tra breve, ombre assai lunghe e affilate cadranno sulla spiaggia, soverchieranno ovunque e il vento, forse, si vestirà di brezza.
Non più sovrappensiero, decido di tornare indietro, e viro.
Il vento che screpola labbra e insecchisce pupille, pare tenda a calare; di sabbia ne solleva un po’ di meno. E il sole, pur prossimo d’arranco all’altro mare, continua ad avvampare. L’aria, è salata in gola e brucia forte quando svapora fracassona l’onda sbattendo sulla rena e sugli scogli.
Avverto del dolore sul calcagno, il destro, leggero, a dire il vero. Ho calpestato un duro, un ciottolo può darsi, e mi trattengo, per tema d’incappare in qualche vetro nascosto sotto sabbia. Mi chino per capire cos’è stato: smuovo la sabbia e affiora una bottiglia, intera, per fortuna. Un vuoto a perdere, non certo nell’ambiente. Nell’ambiente, appunto. E mi sposto di testa sull’ambiente, però mi perdo, mi avvilisco in fretta. E’ troppo faticoso ragionare con sé di queste cose. E poi nell’ora di calo di giornata, scalzo e arruffato, massacrato dal vento, di voglia non ne ho proprio. Domani all’alba quando s’infuoca nuovamente il mare di sole che ritorna all’orizzonte, può darsi che la mente si rinnovi. Ora così mi sento, mi avverto senza senso, inerte, e, in fin dei conti, in buona compagnia, mi consolo, di un vuoto a perdere.
Mi parlo: “che anch’io lo sia, in fondo, per davvero? A perdere, di certo, e vuoto? “
E’ l’assioma del vuoto che poco mi convince. Me lo domando quasi a cantilena, con gli occhi fissi sopra la bottiglia; e mi adiro perfino per questo stato scemo di indagare sul vuoto:
“Che c’entra la bottiglia? Il vuoto è la sua essenza; da piena è indifferente, il vuoto non si avverte.”
E continuo cazzoso a fare tiritera sulla cosa, fuori dall’ambiente che più non percepisco. Né vento, né mare, né spiaggia, né sole. Tutto è un disparte e sembra, in pieno, un vuoto.
Mi ritrovo seduto, non so come, in punta a un pedalò con la bottiglia in mano.
Pare un sipario aperto su una scena: il paesaggio rimane, eccetto il sole che ha già fatto il balzo, ma da poco però; c’è molta luce ancora dei suoi raggi che irradiano riverberi nel cielo. La spiaggia ha gente assorta a rincasare, borsone in spalla e infradito ai piedi. Alcuni scalzi e altri su sandali o ciabatte, e qualche ragazzino con le bizze, che vuole rimanere ancora al mare.
Mi viene di fumare. Ma poi, me ne ricordo: “che stupido”, mi dico, “ho smesso da più tempo.” Passasse un fumatore, però, lo troverei l’ardire di piatire due tiri per lavare la voglia, per svuotare quel vuoto che m’invade. Ecco ritorna, quel vuoto di bottiglia, quel pensiero di prima, che giù dal ventre sale.
- Prendi. La vuoi fumare? E’ la tua nazionale, quella di tempo fa.
E’ la voce del vento? Un subbuglio improvviso mi trasale. E’ quasi stordimento ed un risveglio, insieme. Mi domando:
“E’ la voce del vento che s’acquieta e gioca nella testa per sbaragliare la voglia di fumare, oppure…? “
Mi giro appena per guardarmi attorno.
Scalza. Pareo, tutto gerani in fiore intorno ai fianchi. Alabastro per pelle e occhi in cui annegare.
Un’angoscia improvvisa mi trasale e grido a perdifiato.
- Anna? Cosa ci fai tu qui? Da dove arrivi? E perché proprio ora che il vuoto mi frastorna?
Il caldo mi ha fregato. Son partito di testa. Chiudo e riapro gli occhi e spero che quell’Anna mi scompaia. Ma cosa mi succede?!
-Non volevi fumare? E’ già da un po’ che ti osservo seduto sul pattino. Ti sei invecchiato assai, ma veramente sai. Dai, fuma, magari ti riprendi.”
-Anna. Sei tu Anna davvero? Quella dei diciassette. Ancora diciassette tu ne hai?
-Certo, ancora diciassette. Non lo vedi? Sono rimasta là, io. Sul terrazzo di allora, al calare del sole, davo l’acqua ai gerani e mi piaceva sbirciarti mentre mi spiavi da dietro la persiana semichiusa. Avrei voluto almeno farti un cenno dei miei tumulti al cuore, dei miei rossori al viso, ma dentro la ragione mi bloccava. E poi me ne scappavo in casa, e ti pensavo, e ti pensavo. Sì, sono rimasta ancora là, sul nostro Corso. Sul Corso senza tempo e della mente. A quella volta dentro il tabaccaio. Le cinque nazionali. E poi le dieci lire che non trovavi in tasca ed impacciato farfugliavi: “scusi signora, non cinque, quattro me ne dia.” E via di fretta, poi, a lavare il rossore lungo il Corso. L’ho rubata a mia madre appena sei scappato, ecco, questa è la nazionale che mancava, la quinta, è quella, te lo giuro. L’ho conservata apposta per ridartela, oggi, in riva al mare.

Voglio scappare via da questo immaginario che mi stravolge il mondo tutt’attorno. E’ come un pezzo di follia che mi travolge. Ho voglia di ficcarmi sotto sabbia assieme alla bottiglia che tengo stretta in mano. Ma non posso.
Anna, mare negli occhi e grano già maturo per capelli, sorride. E mi fissa, piantata a me davanti, tutta vera.

-Toccami. Toccami se vuoi, te ne accerti da te che sono vera. Facciamo come allora, sul finir della scuola: siamo sul Corso. Io con la Milena e tu con Salvo, l’amico tuo più vero. Nove mesi di scuola e senza una parola. Turbolenze di sguardi solamente e fremiti nel petto. E’ stato bello, sai. Quella sera speciale mi sei passato accanto e hai sfiorato la mia con la tua mano. L’effetto brace ch’è durato tanto, volevo non svanisse. E poi. E poi, null’altro. Ti sei perduto, mi son perduta anch’io, e il vuoto ha soggiogato pure il tempo, lì sul qul Corso nostro. Io, solo crisalide, attaccata a te per la tua mente. Tu chi sa dove. Ma ora sei tornato.

Assurdo. Tutto inconcepibile. Anna, soave, continua a fissarmi, parla sorridendo, ha gli occhi d’un bagliore folgorante.
Il vento si è fugato; il cielo limpidissimo marca l’azzurro scuro; il mare, blu cupo, specchio; la spiaggia un deserto, caldo.

-Te l’accendo se vuoi. Fumala la tua quinta nazionale che poi si va; si va sul nostro Corso a camminare ancora. Sì, proprio sul Corso dove io sono rimasta. Mi dai la mano, ora?

Anna mi tende lenta la sua mano, pallida, dalle lunghe dita.
Sto per scoppiare. Il petto non contiene più l’affanno e il ventre rantola conati e sta per vomitare. Tremori e spasmi. Soffro di brutto. penso:”questo è forse il preludio della morte.” Ma Anna è sempre lì, vera, in carne e ossa e, angelica, continua a illuminarmi di sorrisi.
Con la vista che ora s’è annebbiata tendo la mano anch’io. Le dita già si sfiorano, le mie sono bagnate dal sudore, le sue sembrano fuoco. Avverto un gran calore, come se stessi entrando in crematorio, e poi, devastazione immane, l’onda d’urto d’un botto mi spazza via, violenta, dal pattino.
Mi ritrovo per terra, e non sul Corso, disteso sulla stuoia, bagnato anche le ossa dal sudore, sovrappensiero e non? No. Sveglio, sveglissimo, semmai, e con gli occhi sgranati verso il cielo, ad inseguire Anna che scompare al seguito d’un rombo d’aeroplano.
Anna. Ricordo. Anna della mente. Anna pensiero assente ma presente.
Anna dell’oltre, è l’oltre.
E’ morta a diciassette, trafitta contro il muro della scuola da una moto impazzita su una bottiglia vuota lasciata, pure allora, nell’ambiente. Un vuoto a perdere Anna, se l’è portata via!
Scaglio la bottiglia in alto mare e il tonfo apre lo specchio d’acqua in cento, in mille cerchi che si ampliano lenti e vanno all’infinito.
Rincaso anch’io fumando, non so come, la quinta nazionale del mio tempo.

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