Tutto ciò che possiamo è davanti a noi
ma quello che dovevamo e non facemmo
ci urla dietro. La conquista di altro spazio
non serve al punto in cui siamo. Nessuno
qui ci aveva invitati, ma qualcosa fu fatta
per favorirci. Trovammo il locale ben aerato,
ricco di argomenti da sviluppare, ma poiché
a noi piace dedurre il peggio, fu facile riempirlo
di atti sbagliati e congetture sulla natura
dei segni. Così usammo la lingua dei fenomeni
per le distanze officinali da portare in tavola.
Sulla porta c’era l’avviso di mangiare in modo
adeguato fino alla frutta da evitare. Eravamo
predoni di terra e di mare, violenti e nerboruti,
entravamo in tutte le tane per razziare le credenze
e i forzieri dei santuari: necessità motrice
degli imperi per tutto il tempo. Così iniziammo
a consumare la carne al sangue e poi il grano
e radici e foglie verdi dopo il sacco delle mammelle.
L’acqua era dove il conto faceva passare la fame,
e stimava il piacere, e ne prendemmo a sbafo.
Il vino ci fu portato dopo aver schiacciato
acini nelle giare e più del calice si poteva andare.
Giocammo ai dadi il passaggio del mare
con l’unico risultato che contano gli squali.
Erano chiaramente momenti di un gioco
di razze che non ci farà durare benché duri.
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