Molti di noi lasciano la rabbia in luogo. Della tomba
citiamo a caso un sottoposto. La culla
ci porta là. Dondoliamo in tempo. In senso stretto
vediamo dal tremo lo stesso viaggio. Siamo chiose
non c’è altro, Dame. Là
cade il frutto del respiro - anche distante, Dame.
Dalla sua culla cade là.
Marcisce la polpa dei baci in una bocca del terreno.
Mettiamoci una pietra sopra, così nessuno
ci pensa più.
Per come Miriam lo seppe, non lo avrei detto.
Il quotidiano locale aveva trattato la notizia
usando la parola “decesso” con l’assioma “solitario”.
Eppure, Dame detto Peppe, di seguito citato con “il nero”
- per via della sua “nigrizia” che è come “mestizia”
riferita alla notte dei morti -, lui, il nero scoperto,
dall’alluce glabro alla calvizie lungo 6 ft.
sulla panchina per pazienti, lui, di seguito citato come
tunonavereottantassscinquecentesimiperme?
- così sopravvive a stento, lo so -
non avrebbe voluto il corredo del deserto
sulla pelle.
Ma la vita è peggio che adesso, Dame.
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