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Fuoco di fila

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 29/06/2024 09:22:17

FUOCO DI FILA

Augusto, la notte tra il 23 e il 24 giugno, dormì pochissimo.
Accanto ai tre compagni, tutti coricati sul fianco per fruire del piccolo margine di movimento nel metro quadrato sotto la cerata di tela, bianca come i pantaloni della fanteria, presagiva l’imminenza della battaglia.
Gli doleva la spalla destra nel punto in cui avrebbe dovuto appoggiare il calcio del fucile, e la provianda della sera, che gli aveva dato sazietà, adesso gli causava una serie di crampi addominali che temeva avrebbero avuto una infelice evoluzione.
Inoltre, la ghetta rotta all’altezza del malleolo sinistro gli aveva procurato una slogatura che poteva compromettere la funzionalità della caviglia durante l’attacco.
Mentre si rigirava lentamente e strofinava nell’erba la coperta distesa sotto la tenda, andava soppesando il vantaggio degli austriaci che conoscevano meglio dei piemontesi il territorio lombardo e quindi le condizioni del terreno, nonostante le rassicurazioni del comandante Mollard.
Figlio cadetto del conte Lagutaine, Augusto era stato avviato al mestiere delle armi dal nonno materno, legato ai Savoia da vincoli di parentela.
Il lustro offerto dalla carriera militare doveva essere conquistato, secondo le direttive dell'avo, solo attraverso una gavetta rigorosamente spartana che ne avrebbe comprovato il valore.
Sotto la tenda dell’acquartieramento, la notte tra il 23 e il 24 giugno 1859, Augusto Lagutaine, tredicesimo Pinerolo, si chiedeva se sarebbe sopravvissuto al fuoco di fila e se qualche baionetta austriaca avrebbe trapassato le sue carni, rendendone impossibile la ricucitura.
Nel breve lasso di tempo in cui riuscì a prender sonno, appoggiando la testa sulla cassa di legno dello zaino ricoperto di pelle e tenendo il bonetto sul viso per oscurare le prime luci dell’alba, Augusto Lagutaine sognò. Sognò la sciabola leggermente ricurva di Mollard che indicava la posizione di comando per la fanteria. Sognò che caricava il fucile spingendo la bacchetta nella canna. Sognò di marciare sul terreno sconnesso della campagna circostante dalla quale si levava la polvere. Sognò che avanzava. E improvviso, come spuntato dal nulla, compariva con le sue divise bianche l’esercito austriaco che apriva il fuoco contro le uniformi blu.
Fu in quel momento che Augusto si risvegliò con un fortissimo dolore all’addome e la subitanea certezza che non sarebbe stato in grado di far fronte a una battaglia.
La gastroenterite acuta cui si accompagnava il gonfiore dolorante, prodotto dalla slogatura della caviglia, l’avrebbe costretto al riposo.
Il conte Augusto Lagutaine, che era uscito fortunosamente indenne dallo scontro di Palestro, avrebbe affrontato una delle battaglie più cruente della storia, rimanendo, col disdoro del nonno materno, adagiato in una lettiga sotto la tenda dell'assistenza sanitaria in località S. Martino: la gloria della famiglia si scioglieva nei liquidi che il corpo del fante non riusciva a trattenere, comprese le lacrime.
E se, in seguito, il medico e il cappellano che lo avevano assistito dissero che le lacrime erano dovute al rammarico del soldato che non aveva potuto onorare i propri obblighi, Augusto Lagutaine, consapevole della verità, pensava che la vergogna dei familiari era niente di fronte all' esultanza che provava per essere scampato alla carneficina.




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