Ti contemplo
nel tuo statuario portamento,
osservo la tua ammaliante identità.
Non ho mai osato
chiederti un pugno di metafore
che ci cingessero le anime
in un incanto adamantino di risvegli,
chiederti di saggiare le mie parole sussurrate,
e quelle non narrate per paura
o per imbarazzo,
le mie reticenze, i miei silenzi eloquenti,
i miei seppelliti ardimenti.
Perché, dinanzi al tripudio
dei tuoi occhi,
riesco solo ad osservarti goffamente,
e inciampo, al pari di una maldestra danzatrice,
negli interstizi bui dei miei dubbi.
Elisabetta Cassone
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