Mia cara, non credo sia possibile rientrare in terra di Provenza, dove l’azzurro di lavanda indugia sui miei tratti assonnati; né in Luberòn, dove la terra sale ed i paesi sono monti di pietra. O la Camargue, dove abita il vento dal mare che mi sparge dove soffia. Né penso torneremo in Normandia, dove i gabbiani aspettano le anime e il freddo mi scolora.
Non credo sia possibile rientrare nella città Parigi, dove l’arte sconvolge i lineamenti della gente che passa e li trasforma in briciole d’umano sospese nell’eterno di colori nel soffio che sostiene i miei pensieri né mi lascia cadere.
Non credo rientreremo più neppure dove siamo noi stessi, che per farlo ci dovremmo ritrovare mentre siamo dispersi al limite di un male che sconvolge chi lo pensa e chi ignora.
Non credo in un soccorso, che l’evidenza sbriciola le facce che il mistero sommerge rendendo più spiegabile l’assurdo volto ora per ora a rinnegare la verità presunta. Che non esiste, come tu ben sai.
Ti spero in un senso di nessuno.
Ho preparato un salto di giornata, ma non mi arrivano lettere dal tempo e dunque non mi posso abbandonare prima di un chiarimento.
Ho preparato un salice, un sasso, un vento alto per non scuotere troppo.
Un recapito a Berlino, sperando di riuscire a agevolare la mia posta smarrita dove la sera scrive le sue ore senza avere una busta. Ed il cancello è chiuso.
E la cassetta è vuota. E mi chiedo di noi, vecchi scrittori, inserendomi in un elenco ingiusto per non perdere il passo.
Questa stupidità senza parole mi impedisce di ricevere notizie, ma so che in Grecia si prepara un atto di una nuova tragedia. Non è tragico questo?
L’ho saputo da un buco aperto in un pensiero. Parlava di un ritorno. Per questo non mi scrivi: non c’è tempo nel tempo.
Tu visualizzi gli angeli all’entrata del mio ultimo bosco. Sorge sul limitare di campagna. Ha querce, lecci, olivi trascurati. Salendo, un castagneto e sotto quel che resta sempre sotto.
Mi riconosceerai?
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