Frate Gioele era un uomo di fede profonda, ma la città lo stava consumando. Ogni giorno, la sua anima veniva trafitta dal frastuono incessante: le grida dei mercanti che contrattavano animatamente, il vociare disordinato della folla che si affrettava tra le vie, il rumore pesante dei carri che scuotevano i sampietrini. Quel clamore continuo era un muro che gli impediva di ascoltare, di raccogliersi, di sentire davvero la voce dello Spirito Santo.
Il suo cuore si sentiva stanco, come appesantito da un vento impetuoso che non dava tregua. Nel piccolo convento dove viveva, tra le mura fredde e l’eco dei passi degli altri frati, la confusione della città sembrava inseguirlo anche lì. Ogni tentativo di preghiera era interrotto da quel rumore lontano ma invadente, e Gioele cominciava a temere che la sua ricerca interiore si sarebbe persa per sempre nel caos del mondo.
Un mattino, con il sole appena sorto, prese una decisione. Lasciò la sua cella con passo deciso, senza fare rumore, portando solo una piccola bisaccia con quel poco che gli sarebbe servito. Il desiderio di trovare un luogo lontano da ogni distrazione lo spingeva avanti, come un richiamo sottile che non poteva più ignorare.
Si inoltrò nel bosco, dove il sentiero era stretto e impervio, circondato da alberi alti che intrecciavano le loro chiome, filtrando la luce in raggi dorati. L’aria profumava di muschio e terra umida, e il rumore della città sembrava già un ricordo lontano. Camminò per ore, finché non raggiunse un eremo abbandonato, nascosto tra rocce scure e avvolto dal silenzio della natura.
Lì, tutto era diverso. Il canto degli uccelli al mattino era come una dolce melodia che accarezzava l’anima. Il fruscio leggero delle foglie mosse dal vento portava con sé un senso di pace che Gioele non ricordava di aver mai provato. Il ruscello vicino scorreva limpido, narrando antiche storie con il suo mormorio costante e rassicurante.
Nel silenzio di quell’eremo, Gioele trovò finalmente la quiete tanto cercata. Giorno dopo giorno, il suo spirito si fece più leggero, e il suo ascolto si fece più profondo. Non c’erano più distrazioni, solo la presenza di Dio che si manifestava nel respiro della natura, nell’infinita bellezza del creato.
Non fu solo la preghiera a diventare fonte di comunione con il divino, ma anche la semplice contemplazione: il movimento lento delle nuvole, il tremolio di una foglia, il riflesso del sole sull’acqua. In ogni dettaglio Gioele scopriva una voce sottile e potente, quella dello Spirito Santo che parlava al suo cuore.
Quell’esperienza lo trasformò. Ritrovò la pace interiore che aveva perso, e con essa una nuova saggezza: la vera spiritualità non risiede nel clamore o nell’agitazione, ma nella quiete dell’anima che sa ascoltare. La ricerca di Dio, capì, è un cammino che si nutre di silenzio e di apertura, di un animo buono disposto a lasciarsi guidare dalla luce invisibile.
Quando, dopo settimane, tornò al convento, Gioele non era più lo stesso. Portava con sé il silenzio del bosco, la serenità dell’eremo e un respiro calmo che riempiva ogni stanza. La sua presenza infondeva pace agli altri confratelli, come un’eco di quella quiete profonda che ora abitava in lui.
E così, frate Gioele imparò che il divino Spirito si rivela a chi sa davvero ascoltare, non solo nelle parole recitate, ma anche nella bellezza del creato e nel silenzio della propria anima.
N.d.A.: Puramente casuale, ogni riferimento a persone e fatti. Felice lettura e buona riflessione.
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