Scivolare indeciso.
Profondevano intanto spazi alterni: nubi. E l’azzurro in declino.
Più che altro di fondo. Nessuno crederebbe che cammina, ma la terra sommuove le certezze: rotola, gira, svolge formazioni. E il mantello di fuoco. Impossibile sostare.
Certe volte vorresti accarezzare qualche ricordo brado; altre, strangolarlo. Non ci puoi fare niente. S’aggiusta non si sa da dove. Salta.
Chiedevo l’altro giorno: ce l’avresti un cerino?
Quello mi guarda ottuso, come se avessi chiesto informazioni quantiche. Più o meno esatto. Spiego.
La fisica quantistica scompare. Cioè, si fonda su uno strano fenomeno di comparsa/scomparsa: c’era e non c’è. Riappare.
Senza capire dove (significa dovunque), nei luoghi più impensati del Castello. Questo vuol dire che Kafka era un quantista, perché da lui tutto e niente. Comunque incomprensibile inspiegabile e tuttavia chiarissimo. Solo, non si può dire.
E neppure un cerino. Quantisticamente corretto, suona provocazione per l’ingegno corrente: i cerini, praticamente, non esistono più. Essi sono un pensiero atavico, un retaggio, una squalifica del pensato esatto. Sommuovono il tempo rendendo il passato presente o il presente inconsapevolmente nel passato. Dove i cerini? Intrusi! Degli esistenti pallidi a scomparsa. Ne deriva che la fisica quantistica non è molto diversa dalla vita.
Però tu spandimi, qualche volta dovunque.
Evoluzione delle conseguenze: immaginare il tempo. Ma anche involuzione. Siamo infatti sicuri che le conseguenze evolvano? Se partiamo dal fatto che nascono da un evento che precede, indubitabilmente la risposta è sì. Ma se aggiungiamo a quel fatto che l’evento precedente spesso non era minimamente volontario, dove l’evoluzione? Se la motivazione è involontaria essa è allo stesso tempo inconscia e dato che l’inconscio non ha tempo, ecco che l’idea dell’evoluzione cade. Chiarifico con una formula: no time = no evolution (ho usato l’inglese perché fa più scientifico). Dunque il DNA è un idiota. Con ciò si dimostra il caso.
Anche il fatto del cerino non è soltanto cera. Infatti, se per me il cerino è un concetto possibile e per un altro no, ecco che tutto dipende dalle immagini con cui ci rappresentiamo il tempo. Nel mio reale il cerino esiste, ma anche la smentita. Dunque l’immaginario è instabile, insicuro, inaffidabile. Un paradosso paradossale astratto: funziona solo se condiviso. Ma se devo assuefare la mia immaginazione a quella degli altri e immaginare il sempre immaginato, che immagino a fare? Davvero il linguaggio è una convenzione, ma la lingua appartiene al relativo.
Spalmami una linguata sulla faccia e butta via.
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Arabescavo forme non costanti su un quaderno di latta. Come gli Egizi, quando volevano che qualcosa rimanesse (magari era oro, ma non ce l’ho). Una piastrina al collo: quella resta quando il collo scompare.
Arabescare.
Pennellate di cosmo sull’azzurro, vento solare in giallo: evaporare.
Deviante, questa forma di vento, spando palmeggio cocchi nei palmeti, mentre in Russia fa freddo. Datteri i reggiseni delle donne. Artico altrove. Lì: pellicce (i seni te li scordi),
Paglia al sole. Mentre il pianeta corre l’avventura che non conosce attimi, intrecciavo colonne di fumogeni quando la notte arriva ed i covoni: qualcosa da bruciare. Chi s’accorge del fumo da lontano mentre la terra scivola galassie e involontari luoghi di distanze nei canti che non vanno oltre frontiera? E balli. E disperata sera, quando togli la mano e mi scomponi.
Slinguami con la lingua sulla lingua. Non basta.
La sbornia è un argomento da comete: viaggia da un luogo all’altro. Quando mi sveglio sogno.
Altalenare.
Io ti darò la forma di una porta dove chiudere il mondo. E vuoto all’altra sponda.
Passeggiare la sera è una passione. E la madonna in mezzo alle candele.
Velo sul capo, i passi di una madre: bella turchina abbindolante sera. Cataste le parole, ma non seguivi il senso: le cantavi.
Intanto mia nonna si inginocchia e gli bacia la mano (al prete). Quello, soddisfatto, la aiuta a rialzarsi (però ci si doveva inginocchiare!) Al paese, come in ogni paese, tanti anni fa..
Io circondante assaporavo il buio delle pietre. Angoli la mia strada; tu passavi. E le stelle distanti tra gli spicchi delle case piegate, come l’occhio che si restringe in alto. La realtà è un messaggio quando muore. Finché la vivi scivola.
Avevi un orologio malinconico: immane immensa enorme nostalgia.
Portami qualche volta alla deriva e frangi questa forma in promontori, verdi come il sollievo.
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