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La forza del passato

Narrativa

Sandro Veronesi
Bompiani

Recensione di Emanuele Di Marco
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Pubblicato il 22/04/2008

Intrighi, segreti e insospettate verità. Questo è in due parole il romanzo di Sandro Veronesi La forza del passato edito da Bompiani.
Una storia originale, piena di colpi di scena, raccontata in maniera convincente grazie ad una fantasia instancabile e alla completa padronanza di una tecnica narrativa davvero ricca. La vicenda, da cui si potrebbe senz’altro trarre un bel film, è quella dello scrittore per bambini Gianni Orzan e sua scoperta, ad un certo punto di una vita fino a quel momento serena, della vera identità del padre. Un personaggio misterioso farà irruzione nella vita di Gianni subito dopo la morte del genitore e, vincendo la comprensibile incredulità del protagonista, svelerà che Maurizio Orzan, generale dell’esercito, uomo d’ordine nel pubblico e nel privato, era stato in realtà una spia del KGB sotto mentite spoglie.
L’incredibile scoperta, più subita che realizzata da Gianni, porterà con sé, in un rapporto di inspiegabile casualità, tante altre rivelazioni grandi e piccole (dal tradimento della moglie ai difetti che Gianni non si era mai conosciuto) che cambieranno sì la sua vita, ma soprattutto il suo approccio con la vita.
Il romanzo di Sandro Veronesi deve la sua assoluta godibilità alla naturale capacità dell’autore di rendere i minimi movimenti dell’animo del protagonista: i pensieri che passano per la testa di Gianni Orzan, i suoi comportamenti più minuti, le sue ridicole (perché anche nostre!) remore, timidezze e gaffes vengono descritte con un’inusuale capacità evocativa accompagnata sempre da immagini inaspettate e spesso grottesche, dotate quasi di un’intrinseca evidenza plastica. Valga come esempio la scena in cui il protagonista, con cipiglio quasi fanciullesco, vuole sostenere lo sguardo del suo misterioso interlocutore, ma alla fine, come del resto era apparso evidente fin dal principio dell’episodio, cede e i suoi occhi si posano su una scritta tracciata a lettere cubitali sul muro di fronte casa sua: un “BAGLIONI FROCIONE” che nel contempo ci muove al sorriso (o alla risata), segna lo smacco del protagonista e rende l’episodio comunque indimenticabile.
Questa, dunque, è la speciale, convincente e gustosissima ricetta narrativa di Sandro Veronesi: l’evidenza di un intreccio ben congegnato, costruito su di una storia originale e coinvolgente e reso tramite una forte caratterizzazione sia interiore che somatica dei personaggi; la capacità di delineare immagini forti, la sensibilità climatica, paesaggistica e uditiva, la grande attenzione ai particolari. A tutto ciò si aggiunga il sapiente dosaggio dei grandi e piccoli colpi di scena, l’inserto studiato di varie storie collaterali (assolutamente imperdibile quella dello scacchista Victor Balanda!), le numerose e sempre azzeccate citazioni cinematografiche (molto simpatica quella del Rugantino interpretato da Celentano) e non: ne viene fuori un libro originale e irrinunciabile, uno di quei romanzi che si leggono tutti d’un fiato e che poi ci dispiaciamo di aver finito troppo in fretta.
Penso che la vera cifra dell’intero romanzo possa essere condensata nella frase “nulla è come sembra”: infatti Gianni oltre a scoprire di aver avuto un padre ufficiale del KGB ed una moglie insospettabilmente infedele, viene a conoscenza di tante altre cose, piccole magari, ma comunque importanti per quella sua crescita interiore di cui il libro delinea lo svolgimento. Gianni aveva sempre creduto di avere una memoria formidabile? Ebbene si accorgerà di aver citato ad alta voce, in un ristorante pieno di avventori, la scena principale del suo film preferito, La Ricotta di Pasolini, commettendo un’imperdonabile inesattezza (e fra l’altro facendo accapponare la pelle a me e a tanti altri amanti di Pier Paolo, almeno fino a quando non è apparso evidente che l’errore era più che voluto…); ma non è finita qui! Gianni si accorge per la prima volta di sputare mentre parla, di assumere ogni tanto quell’inflessione milanese un po’ pedante che anche noi ci riconosciamo quando vogliamo assumere un tono inquisitorio, di aver sempre mal giudicato, per supponenza e in fondo crudele indifferenza, il suo vicino di casa Confalone, di aver con gesto magnanimo regalato ad una donna con il figlio in coma un assegno milionario, vinto grazie a un premio letterario, e di essersi (orrore!) dimenticato di girarlo. E ancora prende coscienza del fatto che per anni non si era accorto del segnale di “dare la precedenza” sotto casa sua e di essere perciò lui che si credeva nella ragione il vero colpevole dell’incidente che lo porterà in ospedale; che, origliando dal citofono, poteva sentire i propri amici, appena usciti da casa sua dopo una apparentemente piacevole serata, criticare in maniera inaspettata e violenta lui stesso, sua moglie, suo figlio, la sua casa e chi più ne ha più ne metta.
La scoperta fatta da Gianni di tale spietato relativismo, di tale inconoscibilità del reale diremmo quasi ontologica, per la quale un uomo si può trovare ad aver “passato i momenti più belli della sua infanzia davanti ad una merda”, è in qualche modo simile a quella già compiuta dalla piccola Viola di Venite Venite B-52, altro romanzo veramente godibile ed efficace dello stesso Veronesi.
Il succo della vicenda è tutto in questa maturazione prima quasi inconsapevole, poi vissuta e sofferta ben più avvertitamene da parte del protagonista (ma mai descritta in maniera drammatica, semmai grottesca) che comprende e si rafforza nella convinzione del fatto che siamo tutti agìti, che la realtà è spesso molto differente dall’apparenza, che quello che siamo davvero in fondo non lo sa nessuno. Purtuttavia, nel crollo delle convinzioni che credeva assodate, alla fine Gianni può capire chi è veramente lui stesso e, conscio dei propri limiti e dei propri difetti, decidere di perdonare la moglie e di far propria la massima dell’Imperatore del Giappone “Che ognuno faccia quel che deve. Che la vita continui normalmente”. E, pagina dopo pagina, il percorso compiuto dal protagonista diviene sempre più anche il nostro: una volta terminato di leggere La forza del passato risulta per tutti noi ancor più significativa la frase di Samuel Beckett posta in calce al libro (come anche al già citato Venite Venite B-52): “Non posso continuare. Continuerò”.
Ma, al di là dell’esegesi di un testo senz’altro interessante e accattivante, oltre lo stesso indimenticabile omaggio fatto a Pasolini soprattutto con il titolo del libro e con la lunga citazione de La Ricotta, oltre il commovente e sofferto accenno ai “delitti italiani”, rimane l’importanza di quella che è una riflessione sul rapporto padre-figlio, capace di evocare, inaspettatamente, una risonanza anche personale. Penso al mio di padre, anch’esso figura “ardua […], difficile da accettare, ma buona e misteriosa e forte e romantica e solitaria e piena di passato”.
Scrive Sandro Veronesi sulla quarta di copertina: “La vera storia di tuo padre è molto diversa da quella che conosci tu”. Sicuramente, d’ora in poi, guarderò mio padre con altri occhi.

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