Nello stupendo fragore
di un teatro biancheggiante,
le strade traboccano farneticanti inedie
tra le cupole i palazzi
che stringono Roma in una morsa
di bellezza brutale e impietrita.
Solitudini astrali boccheggiano,
feroci,
nei camerieri rapaci all’angolo dei
ristoranti,
o tra botteghe scoloranti in epiche memorie
di fasti andati;
La morte serpeggia in filigrane
d’occhi nuotanti su derelitti volti
e sembra che la somma dei cieli abissali
porti una musica grave
sulle baracche, tra i rifiuti.
E che un altro cielo, oscuro, impiombato
se la rida della grazia, della bellezza
e degli eccessi di una città bella e invereconda
che, come un Cristo mai morto e mai risorto
sembra prendere, su sé,
tutte le piaghe del mondo.
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