Pubblicato il 13/07/2010 10:19:35
Argo
Una delle incombenze più pesanti per un ristoratore che non disponga di un cambio turno è doversi svegliare prestissimo al mattino. In realtà, quella giornata era cominciata senza soluzione di continuità con la precedente, gli sembrava di non aver nemmeno sentito il canto del gallo ma la cosa non lo stupì più di tanto: viveva ormai in una dimensione surreale. Il suo primo pensiero inquieto, dopo una rapida doccia, fu rivolto ad Antonio, ospite fisso ormai da un paio d’anni, con l’odiosa abitudine di precederlo in cucina. Quell’appuntamento quotidiano che una volta condivideva piacevolmente con Nancy, ora stava diventando un fastidio: desiderava il silenzio, almeno fino ad un orario coerente con la sveglia di un soggiorno di vacanza. Dopo aver infornato il pane per la colazione e messo su il caffè, avviò la cottura della mitica crostata di fichi d’india nella pentola/forno che rappresentava il segreto successo dei suoi deliziosi dolci. Antonio quella mattina doveva aver deciso di abbandonarsi ad un sonno profondo, meglio così. Mentre passava in rassegna mentalmente tutte le cose da fare quella mattina, riconobbe il rumore della carriola del giardiniere e per un attimo pensò di aver dimenticato un appuntamento con lui. Il vecchio Angelo fece ingresso in cucina, senza bussare, passando direttamente dal patio, con espressione accigliata. Amedeo gli andò incontro con aria interrogativa ma lui lo fermò subito con un gesto della mano: “Amedè buongiorno, devo mostrarti subito una cosa, prima che si sveglino gli ospiti. Non sarà una bella vista, quindi preparati”. Gli porse un sacchetto di plastica e lui ci guardò dentro, allarmato. Quel che rimaneva di tre galline e un gallo offrivano uno spettacolo davvero inquietante. “ Mio Dio, la volpe rossa” e corse in giardino alla ricerca di Miou e Pastis, maledicendo la sua avventatezza, con il cuore in gola. Realizzò di non aver ancora visto Argo e che la visita di Angelo non era stata preannunciata dal suo latrato un po’ rauco ma pur sempre efficace. Incurante del disturbo che avrebbe potuto arrecare agli ospiti, cominciò a gridare con quanto fiato avesse: “ Argo, bello, vieni qui” e nel frattempo fece irruzione prima nel patio, poi nel capanno degli attrezzi, avvertendo il sangue pulsare progressivamente sempre più forte alle tempie. Dall’ingresso delle camere al piano seminterrato, udì la voce rinfrancata di Angelo: “ Scendi, Amedè, tranquillo!”. Davanti a noi, una scena degna di “Quattro bassotti per un danese” dove questa volta i cuccioli accuditi erano i due micini “incimurrati”: probabilmente Argo, avvertita la presenza della volpe, notte tempo li aveva condotti al sicuro al piano interrato, vegliando sul loro sonno. Rasserenato, commosso e divertito, Amedeo gestì l’insieme di queste emozioni, sprofondando pesantemente sulla sedia a dondolo con in braccio i mici e la zampona del cane fedele sul ginocchio. Angelo attendeva una spiegazione e lo costrinse ad affrontare il racconto di quanto gli era capitato la sera prima. Non lo interruppe durante l’intera narrazione ma, alla prima pausa, lo apostrofò: “ Lo capisci, Amedè, che non puoi fare tutto da solo?” cosa ne puoi sapere tu di animali predatori e di come velocemente può riprendersi una volpe da un investimento, con molta probabilità nemmeno tanto lesivo? Avevi il dovere di avvisarmi di avere individuato nelle vicinanze una tana con i cuccioli: è pur sempre un canide, con un forte istinto materno, oltre che di sopravvivenza, doveva certamente essere affamata e tu, con quel pezzo di carne, le hai solo offerto un aperitivo…”. Fu questa la frase che lo ridestò di colpo dai pensieri di autocommiserazione che generalmente producevano i discorsi sui suoi maldestri tentativi di sbrigarsela da sé. “Certo, certo, le ho offerto un aperitivo…e io che offro ai miei ospiti? aiutami Angelo, ti prego, sono le 8 e non ho ancora apparecchiato la tavola e…cavolo, il caffè, la crostata!” L’amico giardiniere si occupò dei micini e, seguito da Argo, risalì in giardino meditando sul da farsi. Amedeo intanto corse trafelato in cucina e, per la prima volta da qualche settimana, tirò un sospiro di sollievo nel trovare Antonio intento a girare la crostata, dopo aver bevuto una prima tazzina di quel caffè, “un po’ troppo forte”, ebbe a dire, “ma va benone stamattina, dopo il sonno profondo di questa notte” e sorrise con aria solidale e compiacente.
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