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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Poesie da Corsivo

di Sabatina Napolitano
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Pubblicato il 28/04/2023 13:00:10

Quaranta pagine bianche

 

Il racconto della notte forse è lungo.

Non voglio dormire più sola, non posso più farlo.

Ma non posso nemmeno svegliarlo

e attenderlo mi pesa ancora, non posso svegliarlo.

Anche questa notte grido.

Non è solo per gli oggetti della sua stanza da bambino,

forse lui non mi sente ora.

Voglio svegliarlo perché sono sveglia.

Chi scriverà il suo pigiama?

Chi scriverà la sua pelle e le ciglia

voglio chiamarlo ma non so quale voce ascolta di me.

Aspetta un segno dalla letteratura

come se non fossi sua e usa le pagine per parlarmi.

Vorrei che questa mia voce lo svegliasse

come il sole di primo mattino

e vorrei invocare non so quale magia

che possa dare a lui tutte le albe

passate a gridare come ora il riconoscimento

o la vita passate a gridare

la parte di me unita a dio ma lontana da tutti.

Quale incantesimo puoi farmi mentre dormi?

Prendi tutte le mie albe e svegliati anche stanotte grido.

Ti sto preparando quaranta pagine bianche

come anni vorrei che scrivessi per me ora.

 

*

 

Come nasce il desiderio

 

Mentre gridavo nella notte

ho visto dei poeti collegati a facebook.

Ma non posso parlare con nessuno tra poeti

non ci si scrive e sono sposata da dieci anni.

Il sesso con lui è il desiderio di una città che non è Roma.

Quando nella vita ti seguo.

Mi lascio baciare e desiderare

come un uomo innamorato nella città in cui insegni.

E non voglio essere toccata a Roma,

non voglio essere baciata, accarezzata e adorata

ascolto i tuoi baci come l’unica possibilità che mi tiene in vita,

ascolto i tuoi abbracci e i capelli bianchi e i peli e le caviglie.

Un corpo che non è una città ma il mondo e le università.

Poi nasce ancora il desiderio.

Come dopo una tragedia persa,

nasce il desiderio come un neonato piccolissimo

che tiene i pugni chiusi e chiede coccole dalla mia vagina;

nasce anche con lo sguardo di quando vuoi inquadrarmi

da scrittore e tenermi come un critico.

Ci sono troppe cose che devo fare in quaranta anni,

ma se non tieni la luce accesa non vedo nulla sono miope.

Nasce il desiderio: quando mi vuoi lo sento

come il nostro pane solo nostro

perché una forza taglia le ladre e ci protegge.

 

*

 

I posteri

 

Qualcuno bussa alla porta,

mentre parla le faccio cenno di zittire.

Forse è semplicemente la posta con dei nuovi libri.

Lei dice che dovrebbero arrivare anche i giochi dei bambini,

in ospedale è tutto pronto per il parto:

mi hanno preparato i palloncini.

Leggo dei libri sul saper fare bene la mamma,

mi tieni la mano, sorridi al tuo modo.

Spero abbiano i tuoi geni,

di me sicuramente hanno la poesia.

Ti faccio cenno di chiamare l’infermiera,

dovremmo preoccuparci di trovare qualcuno che afferra il senso.

In biblioteca potrei sentirmi subito meglio,

potrei non sentire più banalità

andiamo anche al cinema all’aperto,

portiamo i bambini, mi fido anche dei posteri.

Per fare questo però ho anche un programma settimanale:

di esercizi mentali che consistono in lunedì: curl, flessioni

martedì: tricipidi, squat mercoledì:

manubri, allungamento carponi giovedì:

alzate frontali, affondi venerdì: distensioni,

allungamenti sabato: manubri, piegamenti domenica:

sollevamento bacino, apertura gambe.

Brucio molte calorie a volte invece dei pesetti

uso i libri un po’ più voluminosi.

Segue lo stretching, il defaticamento e le buone abitudini.

 

*

 

Nomi propri di città

 

La prima volta che sono venuta qui

ero troppo delicata per considerarmi

già pronta all’amore di una città

che mi può portare via da me a poco a poco.

Sono più importanti le tue città che le mie

per esempio so che le mie domeniche cittadine

o i lunedì hanno una città che mi informa

che sono una donna,

una moglie responsabile intellettuale quanto basta.

Il pc digitalizza tutto il resto che è possibile:

intervengono insieme giornali, riviste,

amiche spocchiose come me,

interessate che la città sia nostra figlia,

che non abbia alcun tipo di problema.

La città è il posto per sfuggirti quando litighiamo,

è una scorciatoia per trovare i miei conforti,

entro in un bar, scrivo qualcosa,

mangio un dolce distrattamente.

Non posso avere un momento di infelicità perché mi insegui.

Voglio decidere qualcosa da sola.

Ma i tuoi sentimenti sono come questi lampioni

 corrono per le strade come appunti sulle mie agende;

mi domina il tuo sogno che trattengo comunque innocente.

Questa città non può vedermi tacere ma mi vedrà viva.

 

 

*

 

Italique

 

Wikipedia dice che corsivo si dice anche aldino

corsivo si dice anche italico

è uno stile di carattere c'è il tondo, il grassetto, il corsivo.

È usato nelle citazioni testuali

o per porre particolare enfasi

partono anche delle campagne per salvare il corsivo

e salvare la calligrafia.

Quando ci siamo incontrati la prima volta

si è firmato in Corsivo,

siamo andati a letto insieme

e dopo l'appuntamento ci siamo sposati.

Abbiamo fatto l'amore davanti a uno specchio

molto prima dell’inverno

il treno non era in ritardo

le luci dalle fenditure gli illuminavano i bottoni.

Mi sono professata una engagée

vivo nel suo potere.

Non amo le domande sul dolore,

non amo cercare notizie sulla tua biografia

non amo le poesie sugli appartamenti

né mi occupo di affitti;

non rimane niente del niente

ma ora che sono qui davanti a lui

ti racconto ciò che ho vissuto.

Mi sono avvicinata a te quasi come fossi un fratello:

ho cancellato le tracce indecise

e molto di ciò che è accaduto.

Ma non sei un fratello nemmeno una volta:

sei cose che posso sentire e intuire

ma che tacciono e se potessi per un breve

attimo non piangerei una sola volta.

 

 

*

 

Complicità

 

Anche oggi mi sembrano stiano per arrivare gli alieni,

auto-percezioni e slogan riempiono i nostri atti militanti

se così si possono definire le parentesi angoscianti.

Anche andare di dieci anni indietro

è come farti delle promesse contemporanee:

tu conosci qualche poeta, io qualche profezia.

Losanna mi piace molto.

Ho il profumo nuovo e il costume giallo.

Questo cielo è l’unica via di uscita

o forse l’anima o qualcosa col tuo ritmo

negli spazi come se non fossi mai un altro.

Sulla tua scrivania dei libri

che ieri ho stretto intorno le ginocchia,

sono tentata di rompere la tranquillità blu nel tuo petto.

Ricordo comunque che ieri danzavo nei tuoi istanti

solo per far tremare tutti gli altri

e riempire le tue tasche di ciò che conosci da poco

ma è nostro solo nostro.

Noi siamo scritti sui miei fianchi

anche quando mi stringi le labbra

e abbandoni culle e valigie, gesti e segni.

Amo le chiese a Losanna e Zurigo,

odio grettezza e prepotenza negli uomini

alle volte sono ricettiva, stanca

e ingenuamente commetto degli errori.

Poi mi ricordi che esiste sempre la nostra complicità.

Ci sono delle opere di Paolo Icaro

che fanno venire alla mente

la possibilità di trovare delle porte:

c’è qualcosa di unico nel superare le barriere

 del sapere la possibilità di dominare ogni gioco.

 

*

 

Conferenza

 

Alcune poesie non risultano interessati.

Alcuni leggono come statue illuminate

mi dico che non è niente.

Vorrei amare un uomo qualunque ma qui lo conoscono tutti,

ripasso l’idea del bene, del compromesso,

ma è questa vita del mio uomo qualunque

che scrive almanacchi, d’utopia e di filosofia

in apprezzate riviste e in siti senza piume.

È per questa vita del mio uomo qualunque

che parla di cinema e artisti davanti a tutti

che quasi quasi faccio fatica a riconoscerlo.

Dunque ripassiamo: voi siete solo i suoi soldati caduti,

lui sa perfettamente come auscultarmi,

contarmi i battiti, farmi felice e riconfinarmi.

Ognuno dice qualcosa: le luci sulla scrivania sono chiare,

negli intervalli ripasso il mio intervento.

I filosofi mi chiedono ossimori, iperboli, paradossi

come se io sapessi tratteggiare un avvenire

o come se dovessi introdurre l’ennesima retorica.

Il primo uomo seduto tra il pubblico si scuote la giacca,

aspetto il tuo sguardo invisibile come una firma.

In fondo c’è una ciurma di intellettuali politici

mentre tu organizzi un coro

sono obbligata a comportarmi da moglie,

per un momento ti assenti.

L’uomo seduto in prima fila

si è fatto avanti spunta dalla ciurma di intellettuali politici

sento che freme dalla voglia di domandarmi

qualcosa imprimendo una citazione

che avrà pensato appena sveglio

(di Heidegger, Foucault, Benjamin,

Arendt, Weil, De Beauvoir, Sartre, Badiou, Zirek?)

torni mi guardi come per dirmi di non sprecare troppo tempo,

torni e ti leggo la mente che dice Caravaggio, Matisse, Mirò, Klee, Goya…

 

*

 

Farfalla astuta

 

Mi nego per farlo vincere.

Le emozioni sono rovesciate e fragili,

queste finestre sono tutte banali.

Il suo sorriso vedete mi compone,

ad ogni blu che è la mia carne.

Perciò la realtà non è più divisa

e lui scrive di politica

e di come farsi animale togliendomi prima le calze,

poi le mutande prende spazio

per dirsi l’infanzia poi mi dice ora voglio la saliva,

ora voglio Duchamp, ora voglio il paradiso,

ma se sono sempre stata qui nelle mie scorciatoie,

sono sempre stata qui in questi incontri

con la leggerezza nascosta,

celata nel tuo diario disperato

quando purezza e profondità

mi rendono felice anche da sola

e tu cerchi di ingoiare

ogni privilegio ogni ipotesi di farfalla in me.

 

*

 

L’idiozia delle comunioni spirituali e artistiche

 

Si sono sommate troppe cose da lontano.

Ora sono a casa nostra,

ho incontrato al supermercato delle donne nomadi

parlavano spagnolo o polacco avevano la pelle bianchissima.

Io avevo tra le mani un portachiavi con una nocciola,

e ti aspettavo a casa nostra guidata da presenze popolari

che ti benedicevano e facevano saluti e spergiuri.

Casa nostra era non molto grande

ma c’era una aria leggera ascoltavi Lou Reed e Thurston Moore,

Noi ora non siamo situazioni,

non vogliamo più stare qui soli col mio e il tuo sangue:

è perfetto ora il tempo che lavora per noi

tutti ci conoscono nell’igiene del sangue

ci conoscono nelle isole dell’arte

mentre ti prendo per mano nei musei interiori ed esterni

che queste forme di ritratti, questi soldati, questi destini,

 questi incidenti, questi paesi deserti, questi battesimi,

queste mani sono impercettibili alla scienza.

Siamo qui seduti per non farci del male,

mi baci e mi dici che è il piano di dio,

dirti che ti appartengo

non lo fanno solo questi fogli lo dicono i bar e i pomeriggi caldi,

lo dicono gli aerei che grattano i cieli

e mentre alcuni fumano vicini

fai per allontanarmi:

crei ogni volta un altare nuovo per noi.

 

*

 

Porpora

 

Aprimi il vestito.

Marianne Moore ha scritto una poesia che parla di angeli.

Lei invece non scrive poesie sta seduta davanti a me,

dice che non sa nulla di cose invisibili,

non conosce molti poeti. Ma mi vuole bene.

È freddo fuori, gli alberi sfilano ascoltati.

Mi tocchi i piedi, poi quando mi abbracci

sono riassunta nell’antico.

Il paesaggio diffonde le sue notti per me illuminate.

La nebbia mi gonfia i capelli ma riempio caldo il tuo fiore

soprattutto quando seduto lasci che su di te parli dei vivi,

dei mari del Nord, di consonanti e antenati.

Ci sono cose che mi fanno sentire molto felice

che mi fanno sentire innamorata:

i messaggi privati sono i miei preferiti,

quelle sorprese che mi seducono durante il giorno.

Mi piacciono gli incontri,

il vuoto che riempi di sorrisi,

quando mi chiami e vuoi sapere come sto,

semplicemente quando scacci tutte le altre per me

quando mi riconosci e mi difendi davanti agli altri

che sembrano eventi naturali non per me,

per una come me che ha vissuto di scenate,

di allontanamenti, di tormenti,

che ha vissuto dei suoi momenti irrequieti

non per una come me a cui gli è pesata l’aria

e credeva di non potersi mai più affacciare all’amore

non per una come me che risponde alla luce con la luce

che resiste alla dimenticanza

che crede nella scienza e nell’imbecillità umana

che nonostante tutto crede a un dio primo

che possa apparecchiarle un uomo da non condividere,

un uomo a cui mandare le foto

da una casa con una piccola libreria:

due finestre da cui si vede l’acqua

il ricordo delle mie nonne quando mi sento giù

soprattutto quando non voglio saperne dei discorsi sull’eternità

non voglio che manchino all’appello

la naturalezza, la verità, la gradevolezza.

 

*

 

Venezia

 

Lasciare scorrere le cose vive.

A Venezia nessun morto mi ha parlato in sogno.

Non ci sono cose insensibili.

Concordo con dio per una sorpresa ogni giorno.

Concordo anche di farmi trovare i soldi esatti,

gli articoli buoni, il latte in frigo,

chiedo il consenso anche di scegliergli io ogni luce,

di accordarmi la sua cura e il sigillo

chiedo a dio anche di scacciare le altre

di tagliare i fatti ad ogni inizio,

di non farmi aspettare le reazioni dei giorni dopo.

Tu hai le chiavi dell’albergo,

insieme a piccole soluzioni su sfere di luci piene.

Incontro il mondo fuori che grida tragedie,

incontro una finestra di amori scartati dal mondo

di una eco così tanto forte da riportarmi alla carta. 

Siamo dediche nude di stagioni dimenticate:

entriamo in albergo e mi inventi le gambe,

il tempo è fuggito, invocato nel bagno.

Nello spazio i quasar, i pulsar.

Nei continenti che bruciano

bussano le linee verticali di titoli evocati.

Voglio vedere le maschere e le sale d’arte.

Portiamoci a fermare il segreto.

I continenti hanno mille cicatrici

nell’ultimo gradino di ogni scala.

Le navi ci fermano al punto che la parola

è una piccola sfida silenziosa.


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