Lo vidi accasciato sulla panca più remota di un parco dimenticato,
all'ombra della vita che gli gravava sulle spalle già curve,
come un peso enorme.
Non potrò dimenticare il suo volto
sul quale vi era tutto il dolore del mondo,
solcato dalle rughe di un tempo che non ritornerà
e scavato da lacrime infinite.
Mi colpirono i suoi occhi lucidi,
occhi di chi vuol piangere
ma non ha più lacrime da versare.
Lo sguardo pietrificato su una foto che teneva in mano,
le labbra in un movimento perpetuo senza suoni
pronunciavano sempre lo stesso nome come un mantra.
Ogni tanto, meccanicamente estraeva un telefonino dal taschino,
come se aspettasse qualcosa che non sarebbe mai arrivata
e le sue labbra disegnavano un sorriso amaro
come di chi sa già cosa aspettarsi,
il nulla, il silenzio, l'abbandono,
l'essere dimenticato dall'unica persona alla quale
avrebbe dato ancora la sua vita,
anche se fosse stato solo per capriccio.
Mi sedetti accanto a lui, non mi notò nemmeno.
Guardai la foto che teneva in mano e rimasi stupito.
Nonostante fosse una vecchia foto,
il viso angelico di quella creatura meravigliosa
era come se vi fosse stato impresso in quell'istante,
circondato da un'aura di luce
e in quei neri occhi,
dai quali splendeva la bellezza della sua anima,
ci si poteva perdere.
Allora compresi il dolore di quell'uomo
e ciò che aveva perso e ancora cercava.
Il suo dolore attraversò la mia anima,
lo guardai...
e piansi per lui.
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