Sei entrato di soppiatto
dove amore più stringe la corda
del dolore,
angelo dolce e leggero,
freddo solo nelle mani,
troppo lontane.
Ma vicino è il tuo respiro
ed io lo sento nelle notti dei miei giorni,
quando la luna cala il suo plumbeo candore
e Notte ascolta, lenta, lenta,
sente...
Tra le pale meccaniche che disossano
il giorno
e sventrano altari tra le querce,
tu...
Come un'eresia,
un grido temuto che desta le mie tigri
là dove la ferocia è l'occasione
e il miele è non più dolce del fiele.
Vieni a svernare un paesaggio?
A tingere le mie cortine con le tue
mani
di cigno aulente?
Vieni a sciogliere l'incantesimo
con un altro incantesimo?
Danzammo, ora so, noi danzammo,
fino a che incendio si spanse, nella schiena
e nella sala non fu che lutto.
E ora?
Perchè mi cadi addosso dalle ere?
Il piede stenta.
La musica è requiem;
sono implumi anche i pettirossi
bagnati dal gelo nei morti giardini
e la Bellezza è il pugno che ferisce,
dolore il vino che traborda dalle cisterne.
E tu sbuchi come un attentato,
nè vecchio nè giovane,
puro come sa essere l'alba
che indora i narcisi e sveglia le allodole.
Ma c'è
che nonostante tutto tutto il dolore
e la vergogna che strappa la pelle
alle stelle,
noi Siamo.
Ancora
e sempre,
noi.
Io lo so.
Tu
lo sai.
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