Miriam si alzò dopo il suono della sveglia. Mise il piede destro sul pavimento freddo, cercò la ciabatta rosso sbiadita, poi la vestaglia. Fece la pipì e preparò il caffè. Aspettò il gorgoglio della caffettiera, poi prese il suo caffè in silenzio, guardando di sbieco la giornata scipita che si prospettava dal balcone, tra i vetri appannati come occhi occhi piangenti. Andò in bagno, dopo aver ritirato il maglione pulito, i jeans e i calzini, giacenti sulla sedia in legno accanto al vecchio mobile dalla ventuno circa della sera precedente. Sollevò e mise dritto il rubinetto della doccia posto sulla vasca da bagno, attendendo l'acqua calda, poi sedette nella vasca. Docciaschiuma dal profumo sbagliato, getto troppo debole, voglia di rimanere lì sotto e poi, magari, di ritornare a letto. Si asciugò, indossò i vestiti appoggiati sul trespolo, facendosi distratta la stessa domanda di ogni mattina, senza risposta: "Sarò ingrassata?" Ma non poteva esserci risposta: stessa porzione di cibo a pranzo cena colazione, nessun eccesso, no alcool no zuccheri.
Si avvicinò allo specchio. Non ci aveva fatto caso al momento infilarsi i vestiti ma, ora, lo specchio trasmetteva chiara una verità: il seno era scomparso. Si portò le mani al petto e quasi, urlò. quando non sentì più la consistenza della carne e nello stesso tempo, un dolore acuto, come se una lama sottile le stesse trapassando il petto. Sollevò il maglione, la canottiera e per poco, non svenne: dal petto fino alla pancia, non aveva più carne, solo una specie di sagoma gommosa a forma di violino, su cui si attaccavano le braccia come moncherini.
"Dio santo, sono vuota!!!" esclamò. Ma, guardando l'orologio, vide che erano già le sette e trenta e calcolato il tempo del tragitto del bus per arrivare in ufficiò, era in notevole ritardo. Per cui si tirò giù canottiera e maglione, infilò scarpe e cappotto e scese in strada. Il bus, per fortuna, arrivò dopo due minuti. Si sentiva molto a disagio, come se avesse commesso un crimine e qualcuno fosse lì lì per scoprirla. Iniziò a scrutare attentamente gli occhi di alcuni passeggeri in piedi, per verificare se notassero la sua imbarazzante diversità. Ma erano occhi già stanchi, pesanti, rassegnati, che guardavano il telefonino o fissavano per alcuni istanti dei punti nel vuoto dal finestrino, per poi piegarsi su dettagli personali: le mani, le scarpe. Nessuno guardava nessuno.
In ufficio fu efficiente come al solito. Lì era certa che nessuno si sarebbe accorto del suo vuoto.
E si stupì, all'uscita, di non averci pensato neanche un pò. Ma, a casa, dopo la cena e il bagno, dovette confrontarsi ancora con lui. Nella vasca da bagno infilò le mani agili nel vuoto del torace e cercò di capire se, in fondo, il vuoto avesse una consistenza, ma il tatto non le rimandava alcuna sensazione. Allora cercò di immaginarlo e vide come una sostanza giallo oro, del materiale simile alla cartapesta che usava da bambina per confezionarsi da sè gonnellini da ballerina. Si stupì che le fosse venuto in mente quel dettaglio. Se fosse andata a danza, come desiderava, forse quel vuoto, ora, le sarebbe tornato utile, perchè avrebbe significato avere meno peso. Lasciò andare quel pensiero, vuoto anch'esso. Poi, visto che non trovava risposta, osservò le bolle di sapone che, evanescenti e iridate, scendevano lungo le sue cosce e anche lì, pensò ai bagni delle sue cugine nella vasca del bucato in estate e si stupì a pensare che, in tutta la sua vita, non era stata altro che un'inguaribile guardona del comportamento altrui, affamata di dettagli o forse di nostalgia. C'entrava qualcosa il vuoto? Forse sì. Da quando quel vuoto le aveva preso il cuore, la pancia e la cassa toracica? Cercò di ricordarsi ma, per tutta risposta, le arrivò solo il ticchettio metallico delle gocce che scendevano, ignave e quasi contaminanti. Poi, quando stava per rinunciare alla memoria, le arrivarono dei ricordi: la gatta dello zio che andò a morire nella sua cesta, la bici rotta e regalata, sua madre che lavava i panni e li stendeva al sole in campagna...
Ma perchè quei ricordi non avevano emozione? Quando se lo chiese sentì un freddo irradiarsi dalle braccia e risalire lungo l'intero corpo, compreso il torace. Poi, un'intuizione: "Ho capito, disse, non è il vuoto che è cresciuto in me, sono io un innesto del vuoto!". Pronunciò la frase come se qualcuno stesse lì ad ascoltarla (un'abitudine che aveva preso da tempo). Poi sentì ancora freddo e il freddo aumentò, questa volta irradiandosi dai palmi delle mani, aperte per verificare appieno la consistenza dell'acqua. Fu così che il vuoto, sentendosi compreso, prese tutto il suo spazio. E ne prese consì tanto che ingoiò il corpo intero di Miriam, la vasca da bagno e tutto ciò che era nella casa. Rimase solo una luce giallo oro.
Miriam perse il lavoro, ma nessuno se ne accorse. Il vuoto le regalò un'apparenza provvisoria di bolla di sapone. Pare che questa giri per ogni dove, di notte e di giorno nella città, insinuandosi nelle case come un sospetto. O come il suono di un violino.
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