Lo vidi, aveva un maglione rosso o forse arancio. Io stavo in una specie di stanza, simile a una gabbia per scimmie. La stanza era orribile. Sembrava quella di un mattatoio. dalle pareti trasudava un liquido verdognolo e rosso, simile a sangue. Sapevo che lui era mio padre. Solo non comprendevo perchè avesse tardato tanto a venire. Poi, capii... Era venuto perchè io l'avevo chiamato. Perchè una volta (me lo ricordai) avevo scritto una letterina a Babbo Natale, in cui gli avevo chiesto di 'far tornare da me il mio vero padre'. Lo avevo immaginato bello, alto, sapiente. Ed ora, eccolo lì... Come avrei potuto accoglierlo? Dovevo uscire dalla stanza, ma non ci riuscivo. Due scimmie mostruose e spelacchiate, dall'apparenza sudicia erano lì, con me e mi guardavano ghignando. I miei piedi erano incollati al pavimento vischioso, sul quale era sparso qualcosa simile a vomito.
"Mio Dio, mio padre è venuto qui, da me ed io come posso accoglierlo?". Non osai avvicinarlo, perchè mio padre, il mio vero padre, era un uomo importante. Avrei voluto dirgli un mare di roba, piangere, ma tutto era squallido, là dentro e aveva il sapore della miseria, della disperazione e di entità che vagavano nella stanza, spargendo un non so che di osceno e una pesantezza di piombo. Fu in quel momento che mi accorsi di aver perso le parole. Era stato un processo graduale, credo. Le parole. prima dense, compatte, visibili, erano diventate simili a quelle delle insegne pubblicitarie sbiadite, fino a scomparire del tutto.
Iniziai a piangere. Erano lacrime vigorose, robuste, pesanti. "Ssst ssst" dicevano le scimmie. Poi vennero delle suore, che iniziarono a dire di non profanare il luogo nel quale mi trovavo. Nemmeno un ratto delle fogne avrebbe potuto pensare che quel luogo fosse sacro. Dal vomito sul pavimento iniziarono a muoversi delle creature simili a bisce. Mi spaventai moltissimo, ma fu allora che mio padre parlò:
"Va tutto bene, respira... Respira... Respira...". Respirai. Mio padre, ora, mi dava la mano. Era una mano robusta, eppure gentile. "Respira, respira..." E vidi un gatto nero e l'umidità salire fino alle ossa. "Respira, respira...". L'umidità si trasformava in gelo, un gelo così pesante da paralizzarmi il corpo. Sentivo solo la voce di mio padre: "Respira, respira...". Respiravo. E vidi il sangue alle pareti trasudare con più forza e sentii la rabbia agitarsi nel petto come tempesta. La stanza ora puzzava di ospedale e di gabinetti pubblici. "Respira, respira...". Avevo difficoltà a respirare, ma mio padre respirava per me. Respiravamo insieme. L'orrore. Ogni tanto un pensiero mi assaliva: "Non uscirò mai fuori di qui". Allora mio padre mi stringeva di più la mano. Cominciai a sentire di essere invincibile e di poter vincere con lui tutti i demoni. Fu così che vidi rompersi una catena annerita al lato della stanza. Da una pianta di cactus che non avevo notato, spuntò un fiore rosa. Presi coraggio... Continuai a respirare. respirai il disgusto, respirai il mio desiderio di assassinare i miei carnefici, di decapitarli e appendere le loro teste sanguianti e squartare i loro busti, facendone penzolare le interiora così come avevano fatto con poveri agnelli innocenti.
"Respira, respira..." e sentivo di essere invincibile. Fu allora che vidi la dea Kalì, la madre nera, che eseguì i miei pensieri e squartò, decapitò, con le sue molte mani blu, munite di falcetto. Poi agitò una specie di bacchetta e cr2eò un lago. Ci lavammo insieme, sotto la luna, vedendo i pezzi di carne roteare in cielo e poi cadere attorno a noi, fino a formare un cerchio di luce.
"Respira, respira... ". Respirai, lenta, ma questa volta per tutta l'energia che avevo impiegato con Kalì, che avevo salutato e ringraziato, prima che sparisse nella luna. Poi non so cosa avvenne. Forse svenni. Mi ritrovai ad attraversare un lago, guidata dai miei due cani. Salì su una montagna azzurra dalla quale scorreva dell'acqua che, però, non faceva resistenza, anzi mi aiutava ad arrampicarmi. Giunta in cima, scorsi alla spalle della montagna un villaggio. C'era aria di festa, di novità, di sorpresa. Poi non ricordai più niente. Tranne che il mio vero padre abitava là, con la Madre Nera. E che dovevo andare a prendere coloro che amavo, perchè quello era il nostro vero villagio. E la mia nuova vita, con il mio vero padre.
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