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L’abisso č alle porte

Poesia

Beda
Editrice GDS

Recensione di Martina Federici
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Pubblicato il 06/05/2014 12:00:00

 

Vesto i miei occhi di lenti luminose, inspiro aria leggiadra ma riesco solo a penetrare il dolore di versi tanto sofferenti. Non bastano spiragli di intimo sollievo… il tormento è troppo. “L’abisso è alle porte”, dice il poeta Beda. Ed io lo sento, lo sfioro quasi, lo vivo in ogni verso di questa raccolta. La prospettiva da cui seguire il cammino del mondo è intrisa di dolore cosmico che riesce a coinvolgere persino l’intero universo.

“Ricordi la felicità sbiadita,/ ricordi la neve e le sue carezze,/ ma ora taci con il cuore morente,/ e il freddo ne screpola il senso.” Non è solamente la natura che riflette l’angoscia sentita dal poeta; è la realtà stessa, la modernità sterile che regala all’uomo l’illusione di poter vivere del nulla. Dunque tutto ciò che ogni giorno coltiviamo e per cui ogni momento sacrifichiamo il nostro tempo ed energie sempre più flebili sembra svanire nel lugubre… nel vuoto. Si tratta davvero di una grande ed autentica illusione? Tale appare l’esistenza di ognuno. Ancora “Sta la bellezza semplice straziata dal progresso,/ pura illusione.”

Il poeta racconta con estrema lucidità “Tu uomo del mio tempo,/ tu che usi la democrazia per sparare,/ che racconti le favole per addormentare,/ tu che vendi diritti inalienabili,/ tu che baratti il petrolio con il pane,/ tu che preghi la mattina e violenti la sera/, tu che scuoti le coscienze ma non ascolti il cuore,/ perché non ricordi il senso vero?” Si tratta, dunque, di scoprire o meglio ricordare quale sia il senso vero dell’esistere. Il passato porta con sé quella semplicità oramai svanita e diviene un grido soffocato che stenta a farsi sentire… “Forse, quando tutto tace” recita l’ultimo verso de “La tua innocenza vaga”.

Persino la poesia non riesce a placare tanto tormento… “Poserò il mio silenzioso dolore,/in questo morente e spento insieme di versi”. E le risposte sono mute di fronte alle infinite domande che compongono il mosaico dell’esistenza “Siamo domande che provengono da lontano,/ siamo risposte che albergano mute,/ questo tu lo sai.”

Ed è proprio adesso, dopo aver sceso l’abisso fino al tratto più oscuro di questa vita, che l’unica possibile speranza è quella di percorrere nuovi e neonati passi. Verso cosa?

Il poeta riflette. “Capita a volte che bussi la felicità…è un istante impalpabile d’eterna estasi,/ e mi accovaccio sopra piangente.” E continua “…come l’ape operaia esco di senno,/ e combatto guerriero irrisolto/ a difesa della mia irrisolta disillusione./ Accolgo la felicità in fuga con le spade,/ indietreggio respinto dal respiro/ del malinconico poeta che accudisco.” Ed ecco il paradosso dell’esistenza…non occorre negare che istanti di felicità capitino ad ognuno ma in che modo li si accoglie? Il più delle volte combattendo contro di loro, indietreggiando e preferendo la sofferenza ed il dolore. “Amore, l’ultimo umile grido./ Pur di averti accanto seppur silenziosa./ Tu non parli,/ il mio cuore supino sta ricoperto di polvere, almeno non sento freddo.”

Il poeta ci narra del suo mondo fatto di terra, fuoco, aria, acqua e si legge“O piacere sei un istante che si perde/ o dolore sei un sottofondo continuo d’arpe/ o vita sei un passaggio, e poi cenere/ o morte sei la consumazione della materia.” La visione dell’esistenza è davvero quella di una corsa continua destinata solo a perdersi in un mucchio di cenere e l’uomo “vuole e cerca linfa nell’infelicità”.

Seppure la vita riserbi anche attimi di felicità, ognuno di noi sembra guardare oltre e correre via alla ricerca del nulla godendo della sofferenza che ci culla malinconici.

L’arrendevolezza con la quale ci si lascia abbracciare da questi versi tanto ricchi di pathos mi trascina nella voragine di vecchie e nuove consapevolezze. Tremano le certezze. Odo una richiesta di aiuto…è la mia che aleggia in un’aria soffocata come da grigio asfalto. Il poeta mi ripete “Questa epoca è prospettiva immobile,/ son fermo.” Io rifletto…ci vorrebbe un movimento seppur minimo per restituire la vita ad un’intera epoca quasi a riportare il battito sanguigno ad un cuore (il nostro, di noi tutti) che oramai pulsa solo di uno meccanico.

 


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