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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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di Maria Musik
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Pubblicato il 23/01/2011 17:34:19

“Pronto. Ciao: come stai?… sì, sì... tutto confermato. Tu esci con Sandra?... Sì, come finisco mi vedo con Salvi, beviamo una cosa insieme… non ti preoccupare, quando arrivo mi arrangio… no, non faccio tardi: domani ho la riunione alle otto… ci vediamo a casa… sì, anch’io! Ciao!”
Anch’io cosa? Perché continuo a risponderle “Anch’io?”. È diventata una forma di saluto: “Ti amo!” “Anch’io!”. Ce lo diciamo anche se entrambi sappiamo benissimo che non è vero. Oppure è vero ma non è la stessa cosa di venti anni fa. È diverso… tutto è diverso!
Il flusso del pensiero viene interrotto dall’anonima suoneria del mio cellulare.
“Pronto. Sì, scendo. Il tempo di spegnere il computer.”
Chiudo tutti i file aperti, controllo che la scrivania sia in ordine, indosso il giaccone e mi dirigo verso l’ascensore.
Spingo “ground” e, mentre i piani scorrono, mi guardo nello specchio. Occhiaie, barba trascurata, la stempiatura che comincia a farsi notare. Tiro avanti le ciocche… meglio!
“Ohi, ciao: finalmente ci si becca!”
“Già! Scusa per l’altro giorno: soliti casini.”
“Dove si va?”
“Andiamo al pub dietro piazza Pitagora: non mi va di spostare la macchina.”
“Ottimo. Neanche io posso fare troppo tardi. Poi, fa freddo. Non ho voglia di congelarmi.”
Pochi passi è raggiungiamo il bar. Entriamo e mi sento sollevato dal mortorio che ci accoglie. Il chiasso mi infastidisce. E, poi, quando si resta in zona si finisce sempre per incontrare qualche rompiscatole che si piazza al tavolo senza aspettare l’invito.
“Dove ci sediamo?”
“Mettiamoci là!”
“Vicino al bagno? Certo, che sei particolare… tutti i tavoli liberi e tu vai a scovare quello vicino ai cessi!”
“Oh, va beh. È più appartato ma uno vale l’altro…”
“No problem: va benissimo quello.”
La cameriera si avvicina.
“Che prendi?”
“Una birra: piccola, chiara, alla spina.”
“Allora, due. Grazie.”
Silenzio. Uno, due, tre minuti. Giocherello con il portacenere: che, poi, mi chiedo, cosa ce lo mettono a fare se non si può fumare.
“Che faccia? Ma che hai? Sembra che non dorma da notti e notti.”
“Niente. È un periodo un po’ così. Mi vengono certi pensieri… Ad esempio: ma siamo davvero convinti che sia un bene essere nati dotati di comprendonio? Non era meglio essere idioti, non accorgersi di nulla, non stare lì a farsi tutte ‘ste seghe mentali? Oppure, essere una bestia: scopo quando mi viene l’estro, mangio quando ho fame, dormo se mi prende sonno e, se un’automobile mi tira sotto, fine dei giochi!”
“Quali seghe mentali?”
“Ma, non lo so… è difficile. Ad esempio: tutto questo amare, pensare, rodersi… tanto, prima o poi, devo morire, no? Allora, perché mi sbatto tanto? Chiuderò gli occhi e sarà finita. Tutto sarà finito: il mio pensiero, la mia creatività, i miei amori, i miei ricordi, i desideri. “
“E se esiste la reincarnazione, come dice Rossella?”
“E cosa vuoi che me ne sbatta? Rinasco cavallo, filo d’erba o, magari, pesce in un vivaio di trote! E, anche se mi risveglio uomo o donna, cosa cambia? Tanto non mi ricorderò nulla di chi ero, di quelli che amavo, di quelli che odiavo. Magari, ti ripeto tutti gli stessi errori: mi trovo un lavoro sicuro, mi sposo, faccio un figlio… tutto uguale alle altre volte. E, comunque, non lo saprei di essere nato una seconda volta e avrei la stessa paura della morte, la stessa coscienza che tutto finirà.”
“Certo, che detta così! E se esiste il Paradiso?”
“Di certo, io non ci vado. Sono uno stronzo e tu lo sai benissimo. Perché mai Dio dovrebbe volermi là: non prego, non vado a Messa, odio preti e monache, sono allergico all’incenso!”
“Cazzo: un vero mostro. Brucerai all’inferno! No, sul serio. Me lo dici cos’hai? Di nuovo liti con Chiara? È per la storia di tuo figlio?”
“Ma, sì, forse… o, forse, no! Mi sento uno scemo… mi vergogno anche a raccontarla.”
“E, dai: lo sapevo. Chi è, come si chiama?”
“Ma chi? Possibile che tu debba pensare subito… non lo so come si chiama!”
“Ah, ecco, mi pareva… allora?”
“Allora, niente! L’altra settimana ero in ufficio. Avevo fatto tardi. Ho ordinato un panino e una birra giù al bar. Mi sono alzato, ho aperto la bottiglia e ho cominciato a berla mentre guardavo fuori. La finestra dirimpetto alla mia lasciava trapelare una luce fioca. C’era una donna dietro il vetro. Se ne stava dritta in piedi e mi sono accorto che mi fissava.”
“E…?”
“Nulla. Sono rimasto fermo a guardarla. Lei ha cominciato a carezzarsi lievemente una guancia, lo sguardo fisso verso di me; poi, la mano è scesa sul seno sinistro. Lo palpava, lenta: prima lo strizzava, poi lo lambiva tutto intorno, poi tornava a strizzarlo.”
“E…?”
“Che palle! Ha suonato il telefono interno: il custode diceva che era tardi, a breve sarebbe arrivata la ditta delle pulizie. Quando ho attaccato, la luce si era spenta e le tende erano state chiuse. Fine della storia!”
“Se è finita così, cosa c'è che non va?”
“Non è finita così. I giorni a venire sono stati un inferno. Mi alzavo ogni dieci minuti a guardare fuori sperando di rivederla. La notte, quel viso così triste, così concentrato, mi compariva davanti. È diventata un’ossessione! Ho avuto un’apparizione…”
“… Eh, come no! L’apparizione di una grandissima mignotta!”
“Ma possibile che tu debba essere sempre così svilente? Se una donna si fa vedere mentre si accarezza un seno, allora è una puttana!”
“No, è una puttana se prende settanta euro a botta. Metà del mio piano c’è già stato con quella… pure due o tre colleghe. E la mia è una constatazione, non un giudizio. Immagina… con i tempi che corrono. Fa quel che può e, considerato che è stata così fortunata da trovare un appartamento di fronte al palazzo della nostra Ditta, non ha neanche bisogno di pubblicare gli annunci. Basta aprire le tende e mettere in mostra la merce. Visto che dirigi il comparto marketing, potresti fare tesoro dell’insegnamento!”
“Oh, Cristo: sono un vero deficiente! Un’idiota, un demente, un…”
“Una splendida persona. Uno che ancora sogna, che ancora si chiede che fine faranno tutte le belle cose che pensa, che prova. Uno che, quando vede una donna, ancora riesce a guardarla in faccia, invece di fermarsi alle tette!”
“E no: le tette le guardo… altrochè se le guardo!”.
Scoppio a ridere di cuore, menando una pacca sulla sua coscia. Mi fermo basito e, arrossendo, balbetto:
“Scusa, davvero, scusa!”
“E di che?”
“Siamo amici da talmente tanti anni che, a volte, dimentico che sei una signora!”.

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