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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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La palude definitiva

Romanzo

Giorgio Manganelli
Adelphi

Recensione di Fabrizio Oddi
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Pubblicato il 14/07/2015 12:00:00

 

Un prisma prezioso e segreto, un gioiello immaginifico e visionario

 

Ho memoria oscura, sempre più logora col passare degli anni, di ciò che mi ha condotto in questo luogo deserto che mi è diventato patria. Rammento una città sontuosa, edifici irti di pinnacoli, grovigli di strade sottili, subitanee piazze; su una di queste s'affaccia una casa dalle stanze anguste, certamente una casa illustre, sulle pareti della quale erano disegnati stemmi, motti, ora nella memoria, risibili e sinistri; giacché quel che ricordo è una folla che, di notte, gremiva la piazza davanti all'ingresso - un ingresso elaboratamente ornato da belve allegoriche, devotamente araldiche - e urlava la mia infamia. Si agitavano torce, come a promettere il rogo, si scuotevano ferri; ma che mai avevo compiuto per essere oggetto di tanto furore?.

 

Un incipit da brivido, un libro difficile, complesso e densissimo, scritto in un linguaggio immaginifico, forbito e visionario, un’opera da assaporare e riprendere, per soffermarsi sulle miriadi di immagini, figure, esseri, incessanti metamorfosi, trasformazioni notturne e mondi magicamente e incredibilmente creati e subito dissolti.

 

La palude definitiva – e la Casa –, oltre ad essere “il luogo [della poliedrica] immaginazione” (come recita il risvolto di copertina e direi della stessa storia di Manganelli), attraverso i suoi occhi disincantati e impietosi (soprattutto verso sé stesso), è anche, a ben vedere, per tutti noi “un’avventura estrema”, irrinunciabile, negli insondabili e rischiosi labirinti del nostro animo.

 

Alla prima lettura non può che lasciarci attoniti e smarriti, senza possibilità di reazione, in una rapidissima sequenza di rappresentazioni dalle infinite sfaccettature, che scorrono davanti ai nostri occhi, incessanti e imprevedibili, inquietanti e affascinanti, con un periodare compatto e, apparentemente, insondabile nella sua struttura, lungo un percorso che fa rimanere il lettore letteralmente senza fiato.

 

In tale ultimo profilo, pur nella diversità stilistica (la prosa infatti contrariamente a quella di Manganelli è povera di punteggiatura) il pensiero rivà irrimediabilmente – con un accostamento forse ardito – allo stupendo e inquietante romanzo del 1964 di Giuseppe Berto: Il male oscuro: un ininterrotto flusso di coscienza, un percorso autobiografico della propria vita alla ricerca delle radici della propria sofferenza; flusso che, privo di sistematicità, dissolve la struttura narrativa, presentandosi come una vera novità a livello letterario, quale è, in effetti, La palude definitiva di Manganelli (e ritengo tutta la sua attività di scrittore).

 

Nel luogo dove abitano demòni e démoni, brulicante di esseri come nella Genesi biblica, pervaso dunque come da una  “metamorfosi divina”, per menzionare Pietro Citati (le cui lodi si affiancano a quelle di Calvino, Roberto Saviano, Angelo Guglielmi), alla fine ci sarà una redenzione? “viaggiamo, tu, io, la reggia, le carte degli antenati verso una dannazione, verso la suprema, perfetta luminaria?” (p. 117).

 

Un prisma prezioso e segreto, un gioiello sicuramente da non perdere.

 


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