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Apologia del Sublime, poesie 2008-2014

Poesia

Giulio Marchetti
Puntoacapo Editrice

Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 07/07/2015 12:00:00

 

Declinazione e canto d'amore come declinazione del respiro e conquista del tronco per incarnazione dal baricentro di anima e forma perfettamente rivelate, questo è nel pensiero e nei sensi il senso e la dilatata prigionia- per sublime solo a tratti espanso- della poesia di Giulio Marchetti, trentenne romano che qui raccoglie l'intera sua produzione- da "Il sogno della vita" del 2008 al recente e inedito "Disastri". Tenendo dietro all'introduzione di Alessandra Paganardi che nel tracciare un piccolo bilancio provvisorio dell'autore ci consegna "l'idea di una poesia capace di abitare il mondo sapendone i vuoti,le mancanze e le impossibilità" invitando a non rinunciare "a sentirsene dignitosamente e costruttivamente parte", ci viene da aggiungere,o da rettificare piuttosto per parte nostra, una forbice sempre più netta tra avanzamenti "verso ciò/ che tu senti mancare", verso il solo destino concepito che dal "cercare l'aria" è dato dall'amore e le ambiguità di distanze non colmabili che non rivelando non possono non comprimere entro abissi privi di spazi di dignità e definizioni. Per questo al termine delle quattro sillogi che compongono il lavoro (la prima edita dalla Joker, le seguenti sempre da Puntoacapo) pensando, come detto, a questa poesia come a una poesia dell'aria e del respiro la sensazione che più coglie, e che meglio forse la definisce, è quella della claustrofobia, della mancanza d'aria appunto, quasi di panico per urgenza di vita compressa se "la paura del silenzio/che trema per un soffio di vita" non spinge al salto, al compimento anche se "non c'è corsa lineare/se la voglia del respiro è la somma/ di istanti isolati". Ci vuole continuità e determinazione per "la ribalta del suono" ci avverte allora Marchetti in una scrittura, in una vita, intesa come scienza di apprendimento e superamento del suolo via imprimatur degli occhi, in quel canale di feritoie e di luce che in ordine e assetto, rivelando, cadenza il respiro (si legga al proposito la poetica di vita in "Luce naturale"). Diario dunque e registrazione senza sconti di appagamenti e perdite senza ritorni di uno slancio che si risolve comunque in apologia (che sempre e soprattutto, nell'insegnamento, è nella misura della resistenza, della fermezza- per convinzione- pur nella perdita dove il dolore stesso nell'assenza non è che conferma) dilatando in un timbro di rabbiosa e dolente investigazione il proprio personalissimo verso (oltre allora le riconoscibili tracce sottolineate dalla Paganardi soprattutto in Saba , Penna e Sereni ) . Del poeta Marchetti ha infatti l'autenticità del porsi a contraltare, di un credo che può sì cozzare ma non recedere preferendo a tratti perfino la consunzione ad una ragione disillusa , andando della natura stessa lo spegnimento privo l'uomo della relazionalità che lo determina (giacché "il ritorno è solo terra piena d'attesa" ci ricorda, seppure nella coscienza che nell'emigrazione dell'amore neppure la casa o il cuore possono realmente contenere oscurità e pulsioni). Nell'arco della narrazione che si dilata nei quattro lavori ( aggiungendo ai succitati anche gli intermedi "Energia del vuoto" del 2010 e "La notte oscura" del 2012) è racchiuso il fervore di un' anima fatto di urgenze e approdi quasi strappati ("Dovevamo solo iniziare a vivere", nell'insistenza sovente dell'amore che viene dal coraggio) e poi resi nello strappo della superficie, alla superficie nella definitiva divisione che viene dall'abbandono ("la vita è l'amore che abbiamo perso"). Così il coraggio della conoscenza (tasto su cui Marchetti insiste sovente a partire da "Il volo" della prima raccolta) al termine del viaggio diventa non più "compostezza del volo" sciolta nella "libera agonia" dell' amore ma anche, soprattutto, soglia e attraversamento del deserto in offerta dolorosa di sé al vuoto in un arrendersi che è piuttosto un atto di forza, varco necessario di "impercebile densità" nella rinascita che viene dall'espulsione di tutto l'ossigeno respirato ( nella confessione giungendo progressivamente quasi ad acquisizione mistica nel freddo dell'inverno toccando l'anima: "Io non voglio uccidere l'aria/ e lasciare che il corpo apprenda/ gli indicibili segreti/ dell'asfissia"). Perché nulla è immutabile, nel lascito di una poesia ardentemente sapiente nell'umiltà di reciproci palpiti come grida d'aiuto sotto l' "eterna sospensione del crollo"- le parole e le voci degli amanti come "piccole lesioni/ del vuoto","memoria di un assenza/ quando è certo/che l'assenza sia l'unica memoria". Dato il tema, in conclusione, scrittura non banale dunque, a eludere con forza nel coinvolgimento stretto col lettore ogni facile mistificazione, ogni compiacente racconto.

 


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