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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Al ballo con Marcel Proust

Narrativa

Principessa Bibesco (Biografia)
Sellerio Editore

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 28/07/2008 01:55:00

Il titolo di questo libro appare, dopo la lettura delle prime pagine, incompleto, sarebbe stato più corretto titolare “Al ballo con(tro) Marcel Proust”; infatti durante il ballo che dà il titolo all’opera, e che fu praticamente l’unica volta in cui la Principessa Bibesco incontrò il giovane Proust, la nobildonna fece di tutto per non fermarsi a parlare con questo strano personaggio che, ad un ballo, non ballava, e se ne stava in un salone riscaldato con il cappotto addosso. Il motivo di questa ritrosia viene, durante la narrazione, imputata al fatto che la principessa temeva di entrare in un mondo da cui sarebbe rimasta incantata, e dal fatto che essendo anche la principessa scrittrice, ma in incognito, in quanto a quei tempi era disdicevole che una bella fanciulla dal sangue blu avesse anche un cervello, non voleva dare adito a pettegolezzi o maldicenze sulla sua attività letteraria. Tuttavia Proust aveva scorto il legame che li avrebbe uniti per sempre, legame tenuto vivo e rafforzato attraverso una fitta corrispondenza. Nel volume la principessa traccia una breve storia dei suoi rapporti con Proust sia attraverso le lettere a lei destinate ma soprattutto ai di lei cugini, i fratelli Antoine ed Emmanuel Bibesco i quali, con Bertrand de Fénelon, erano i migliori amici di Proust. Il libro raccoglie varie missive scambiate tra i quattro amici (sebbene talvolta la principessa scambi lettere destinate ad Emmanuel con quelle del fratello e viceversa). Come è noto tra Antoine e Marcel l’amicizia era ben più profonda e si spinse ai limiti del sentimento più importante, ma soprattutto viene sottolineato il legame quasi morboso tra lo scrittore e i suoi tre amici, Proust, spesso costretto a letto, aveva “bisogno” del contatto con gli altri tre.
Dalle descrizioni della principessa la cosa che maggiormente risalta è che Proust nel suo periodo “mondano”, ovvero prima di intraprendere la stesura della sua Opera, era apparentemente uno che si divertiva ad oziare e frequentare salotti, ma in realtà stava “registrando” ogni minimo particolare che avrebbe poi usato nello scrivere la Recherche; nella mente dello scrittore le varie persone che incontrava cominciavano a diventare i Guermantes, Saint Loup, i Verdurin e gli altri personaggi del suo lungo racconto. A molti, compresa la principessa, poteva apparire quantomeno singolare il comportamento e la curiosità, lo sguardo troppo penetrante di questo freddoloso giovanotto, a volte impertinenti le domande, ma tutto avrebbe avuto la sua risposta dopo la pubblicazione dei primi volumi della Recherche: molti dei fatti vissuti dal Proust mondano erano diventati materiale da costruzione per il Proust architetto di quella maestosa cattedrale che è la sua opera. Nessuno ancora aveva capito il valore di questo fatuo giovanotto dall’immancabile camelia all’occhiello (la camelia non ha profumo e quindi non creava problemi con l’asma), solo i tre grandi amici intuirono la grandezza di Proust da subito e, sebbene inizialmente ignari dello scopo finale, cercarono sempre di aiutarlo nel raccogliere il “materiale” per la Recherche, sia raccontandogli gli eventi a cui Marcel non poteva partecipare sia accompagnandolo a visitare le grandi cattedrali gotiche, grande amore e fonte di ispirazione per lo scrittore. La principessa col passare degli anni capiva che aveva evitato di parlare con un personaggio assolutamente straordinario, e ne ebbe la certezza il giorno in cui ricevette da Proust una lettera in cui egli, col pretesto di elogiarla per un suo libro, le apriva il cuore parlandogli di sé, con quel meccanismo, misterioso ed unico, di filtrare l’arte attraverso il sentimento e farla risaltare nei suoi minimi particolari attraverso la lente d’ingrandimento dell’anima. Sono certo che la principessa Bibesco ebbe per gli anni a venire un certo rammarico per aver scambiato brevi battute per evitare di restare a tu per tu con quel buffo giovanotto con la barba lunga, gli occhi dolci e un vecchio pastrano addosso.
Il libro, nella sua elegante godibilità non è però filologicamente corretto, le lettere sono spesso tagliuzzate e non sono in ordine cronologico, ma ciò lo rende più “umano” ci fa sentire seduti in poltrona davanti al camino del castello di Mogosoea ad ascoltare la principessa che fa rivivere i suoi ricordi.

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