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Commenti al testo di Paolo Polvani
Il crollo di via Canosa
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paolo polvani
- 22/10/2016 16:19:00
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Molte grazie anche a Luciano Nanni! è un piacere e un onore la lettura e lapprezzamento di autori così autorevoli e generosi come Luciano e Eugenio! questi commenti mi spingono a fare del mio meglio!
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paolo polvani
- 22/10/2016 16:14:00
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Molte grazie a Eugenio Nastasi per la sua nota articolata e anche molto generosa. Ho scritto queste poesie molti anni fa, perché i ricordi bussavano con insistenza e chiedevano di essere tradotti in parole, ci sono avvenimenti vissuti nella prima infanzia che hanno bisogno di uscire dal buio e vedere la luce di una pagina fitta di segni. Affiora una certa discontinuità nella tensione, ma ho preferito lasciare intatta la sequenza, lasciarla così come è nata. Ricordo molto bene la finestra sotto la quale passavano le ambulanze con il loro grido lacerante, lapprensione di quei giorni, le discussioni, le paure; di lì a poco dovevamo trasferirci in una nuova casa, e lingegnere era lo stesso che aveva progettato il palazzo crollato, e questa incertezza ha tormentato per anni i miei genitori. La casa dove siamo andati è ancora lì, a distanza di tanti anni. I miei versi sono una specie di liberazione, ma anche un omaggio alle vittime di quel crollo, una lapide che impedisca alla memoria di perdersi. Ancora grazie!
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Luciano Nanni
- 05/10/2016 21:24:00
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Un dramma che ha suscitato autentica poesia. Che non è nell’apparato versificatorio – a volte quasi prosa – ma nella qualità estetica dei versi, nella capacità di creare e anche di emozionare: è il caso di Polvani.
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Eugenio Nastasi
- 02/10/2016 12:24:00
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Paolo Polvani , con il "Crollo di via Canosa", riesce a sostenere tra prosa e poesia, un continuo ricambio fra realtà e memoria, tra cronaca e depositi linguistici, restituendo al lettore un fatto di cronaca tragico e fin troppo attuale pur affondando nellimmediato dopoguerra degli anni 50.E se anche non sempre il respiro compositivo riesce a mantenere con pari felicità lintera composizione, la scrittura di Polvani, soprattutto nei quattro componimenti finali, è come avvolta in unaura magica di parole che giungono al nostro ascolto quasi attraverso una lente dingrandimento, per cui le sue vibrazioni (che sono poi lautenticità del dettato che lo governa) dal piano testimoniale di naturalezza discorsiva arrivano a lambire la polivalenza semantica. Tutto questo si riscontra proprio nella fase finale, quando levocazione dei fatti cede a unintonazione quasi "morale", tipica del fare poesia vera con tocchi e variazioni mirabili per nitore e spessore, come a voler interiorizzare quei motivi e rendere più serrato il colloquio tra "gli assenti" e i sopravvissuti e quel resta in lui di rispondenze e accordi recanti in una ragnatela di passaggi il loro necessario ricordo.
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