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Commenti al testo di Gian Piero Stefanoni
La terra che snida ai perdoni

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 Mario D’Arcangelo - 03/06/2017 18:17:00 [ leggi altri commenti di Mario D’Arcangelo » ]

Una breve digressione! Credo che non abbia più motivo di esistere la vecchia diatriba fra poesia in dialetto e poesia in lingua, semplicemente perché la poesia per antonomasia non ha limiti di cittadinanza né di modi, tempi e contenuti e quindi neppure per quanto riguarda il mezzo espressivo.
Ma venendo al dunque, Stefanoni (che qui con tutta umiltà parla di “passeggiata” e di “commento”) mi pare abbia dimostrato in più parti evidenti capacità esegetiche.
Egli è anche poeta e si nutre di una poesia per così dire moderna, libera spesso da schemi prefissi,che ha una sua specifica tessitura stilistico-espressiva.
Dello stesso tenore, per certi versi, è anche il suo dettato critico, a volte minuzioso e profondo.Ed è nel tuffo di immedesimazione analitica dei testi che l’autore raggiunge una pregnanza qualitativa di notevole incisività.
Come parte in causa del lavoro di Stefanoni non mi permetto di andare oltre, entrare nell’ambito o nel merito del lavoro stesso. Dico soltanto che l’Autore lo ha trattato e lo ha portato a conclusione in modo egregio e con assoluta preparazione e competenza. Merita dunque tutto il nostro plauso e la nostra considerazione nonché riconoscenza.

 Simonetta Sambiase - 05/05/2017 20:01:00 [ leggi altri commenti di Simonetta Sambiase » ]

Ci sono lavori necessari come questo per aiutare a diffondere la storiografia poetica di paesi e regioni intere a chi (come me) non si avvicina a dialetti troppo lontani dal suo per paura di perdere il filo del verso. Grazie. E complimenti per la competenza e la narrazione critica riversata in questo libro, che è contagioso.
Un saluto.

 Eugenio Nastasi - 05/05/2017 08:40:00 [ leggi altri commenti di Eugenio Nastasi » ]

In questo lavoro che affascina già dal titolo, "La terra che snida ai perdoni", che appartiene per valenza scrittoria alle doti esegetiche non indifferenti dell’estensore, c’è soprattutto il tentativo (riuscito) di Gian Piero Stefanoni di dare voce e risalto a un mannello di autori abbruzzesi, alcuni vicini a noi nel tempo, che scrivono in dialetto. Il nostro Stefanoni, pur scrivendo che questa è una "passeggiata" affettuosa in una terra "di mezzo", verrebbe da dire, alla quale lo legano sentimenti e legami parentali, si ritaglia uno spazio carico di suggestione vuoi per la validità degli autori antologizzati vuoi per le aspirazioni anche fuori dei confini regionali, che alcuni di essi esprimono. Da quanto lui ci riferisce compaiono nomi ( non so Dammarco, Marciani) che in testi di effettivo valore poetico riaprono la querelle del prestigio o meno del dialetto messo a confronto con l’uso della lingua nazionale. E non solo per certi "ripieghi intimistici" o "la preghiera di affondi tra corpo e terra" che si ricavano dalla lettura delle opere, quando per la naturale capacità di invenzione che essi manifestano, per la felice coincidenza di virtù spirituali che li obbliga quasi a una sorta di pudore espressivo fondamentale nella pronuncia gergale. Si calcoli, poi, il peso delle parole di Stefanoni nel commentarli, quel peso che hanno contro l’apparente leggerezza dei loro versi, delle loro luci: Stefanoni utilizza un lessico finissimo che non è veicolato dal gusto del colore o da una immediata disposizione di sensi nei loro confronti, semmai dalla convinta consapevolezza che i poeti di cui si occupa hanno superato lo scoglio dell’occasione per sfociare in aree di armonia naturale e di funzione vitale. Elementi che si ritrovano anche nella parte finale della "passeggiata", a sostegno di una operazione critica che in definita indica la dolce fedeltà degli autori al verbo poetico anche messi a confronto, mi pare di capire, con esempi illustri d’oltre cortina.

 Franca Alaimo - 04/05/2017 19:04:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

Come chiarisce lo stesso autore, il libro raccoglie un insieme di brevi saggi e analisi testuali già apparsi su varie riviste, on-line o cartacee.L’unità, però, è garantita dal tema: la poesia dialettale abruzzese, anzi, quella legata ad una parte del suo territorio. Si tratta, comunque, di un repertorio significativo che include 12 poeti, i quali vengono presentati da Stefanoni, poeta anch’esso e legato per motivi familiari alla regione abbruzzese, con quella competenza critica e raffinatezza che già bene conosciamo. Il lavoro è sostenuto dal convincimento (le parole sono di Serrao) che le lingue dialettali costituiscono un nuovo semenzaio di lingue letterarie. L’affermazione cela in sé la delusione nei confronti di una produzione poetica contemporanea che sempre più va perdendo la qualità del canto e dell’armonia. Leggendo velocemente i vari saggi, ne ho ricavato, un comune atteggiamento, da parte di questi poeti, nei confronti della loro terra: un amore forte ma anche fortemente sofferto, che non può fare a meno di annotare storie di povertà, di sopraffazione; una malinconica elaborazione del dolore sciolto nella bellezza del paesaggio, nella speranza, o nella fede; un’umanità profonda. In ogni caso questo saggio di Stefanoni è un’importante testimonianza, un tributo d’affetto, un prezioso recupero contro l’oblio.

 Antonino - 02/05/2017 13:56:00 [ leggi altri commenti di Antonino » ]

Semplicemente: MERAVIGLIOSO.